«Tra poche ore l’onda d’urto delle elezioni presidenziali statunitensi investirà l’Europa devastata dal ciclone Dana», scriveva Marco Damilano su questo giornale. La stampa ha dedicato molto spazio ad analizzare come cambierebbero i dossier di politica estera a seconda del prossimo inquilino alla Casa Bianca – equilibri geopolitici, economia, conflitto in Ucraina, guerra dei sette fronti in Medio Oriente, relazioni con la Cina, dazi – ma ne ha dimenticato uno: il clima.

Il cambiamento climatico non è solo la madre di tutte le crisi, come ci ha ricordato il disastro di Valencia, ma quella su cui queste elezioni possono avere l’impatto più significativo. È anche uno dei temi che divide di più, almeno a parole, i due candidati.

L’eredità di Trump

Trump ha posizioni tanto chiare quanto aberranti, che abbiamo visto in atto quando era presidente. Il suo mandato era cominciato con il via libera all’oleodotto Dakota Access bloccato da Obama dopo la protesta degli indigeni, continuato con il definanziamento dell’Environmental protection agency e costellato da oltre cento passi indietro o revoche di leggi precedenti su ambiente e clima.

La sua amministrazione prese la destabilizzante decisione di uscire dall’Accordo di Parigi, che era stato possibile grazie alla stretta di mano tra Obama e Xi Jinping prima della Cop21. Biden ha fatto rientrare gli Stati Uniti, che erano rimasti l’unico paese al mondo fuori dall’accordo, e ha presenziato a tutte le ultime conferenze sul clima, fatta eccezione per la Cop28 di Dubai, dove al suo posto è andata Harris. La Cop29 in Azerbaijan inizierà l’11 novembre, sei giorni dopo il voto, che rischia di condizionarla pesantemente.

L’eredità di Harris

Harris può farsi forte dell’Inflation reduction act, il più vasto pacchetto di investimenti al mondo per internalizzare la produzione di pannelli solari, turbine eoliche e auto elettriche, ma è molto debole sul fracking. Questa tecnica di estrazione di petrolio e gas, basata sulla fratturazione idraulica, comporta seri problemi per l’ambiente: perdita di metano, contaminazione dell’acqua e rischi sismici.

Nel 2019, durante le primarie democratiche per la presidenza, Harris si era detta favorevole a vietare il fracking, per poi ritrattare durante la campagna elettorale, cercando di non inimicarsi un significativo bacino elettorale in Pennsylvania, che è il secondo dove si pratica di più il fracking dopo il Texas, e che è lo Swing-State da cui sembra che debba passare la vittoria del prossimo o della prossima presidente.

In generale, Harris è stata più coraggiosa sulle politiche ambientali da procuratrice generale in California - quando costituì la prima unità di giustizia ambientale del paese e ingaggiò una battaglia contro le compagnie fossili ExxonMobil, Phillips66 e ConocoPhillips - e da senatrice, sostenendo il Green New Deal con l’ala più a sinistra del partito, che da vicepresidente e candidata presidente.

Il messaggio di Greta Thunberg

Venerdì, l’attivista più nota al mondo, Greta Thunberg, ha condiviso i suoi pensieri sulle elezioni con un post su Instagram. «Non c’è dubbio che uno dei candidati - Trump - sia molto più pericoloso dell’altro», ha scritto Thunberg. «Ma a prescindere dalla vittoria di Trump o di Harris, gli Stati Uniti – un paese costruito sulla terra rubata e sul genocidio delle popolazioni indigene – resteranno comunque una potenza mondiale imperialista e ipercapitalista che, in ultima analisi, continuerà a condurre l’umanità verso un mondo razzista e diseguale, con un’emergenza climatica e ambientale sempre più grave. […] Entrambi i candidati hanno le mani sporche di sangue», prosegue l’attivista.

Thunberg, come Macklemore e tanti altri personaggi pubblici che nel 2020 avevano sostenuto il candidato democratico, ha ricordato «che il genocidio in Palestina sta avvenendo sotto l’amministrazione Biden e Harris, con il denaro e la complicità americana. Non è in alcun modo "femminista”, “progressista; o “umanitario” bombardare bambini e civili innocenti – è il contrario, anche se a comandare è una donna».

Sotto il suo post i commenti si dividono tra esortazioni a votare Jill Stein, candidata dei Verdi, e moniti sul fatto che «un voto per un terzo partito equivale a un voto per Trump». Sabato i Verdi Europei hanno esortato Stein a ritirarsi e dare il suo endorsement a Harris. La risposta del comitato di Stein, che si propone come «una reale alternativa ai partiti della guerra e di Wall Street» e spera di ottenere il 5 per cento dei consensi per accedere ai fondi statali, non si è fatta attendere: «Vi siete bevuti che gli elettori di Jill Stein, se non si fosse candidata, avrebbero scelto Kamala Harris. Questi sono elettori che non avrebbero votato nessuno dei due, perché inorriditi dagli aiuti militari per il genocidio ad opera di Israele e lo sterminio di civili a Gaza».

A quattro anni di distanza, sembra che più segmenti di opinione pubblica che avevano a cuore il clima, l’abbiano legato in modo inscindibile alla pace, all’autodeterminazione dei popoli e ai diritti in senso più ampio, trovando in quella per la Palestina una nuova lotta comune.

«Capisco che ci sono milioni di statunitensi che non sono d’accordo con il presidente Biden e la vicepresidente Harris sulla terribile guerra a Gaza. Sono uno di loro». È l’inizio di un video virale di Bernie Sanders, guida dell’ala sinistra del partito democratico che nel 2016 perse di poco le primarie contro Hillary Clinton. Tra le istanze in gioco in queste elezioni che Sanders cita per convincere gli elettori a votare comunque per Harris, la prima è l’aborto, la seconda è il clima. «Se Trump vince, la lotta per il cambiamento climatico è finita». Ma il ruolo sul clima degli Stati Uniti è effettivamente tanto decisivo quanto, da occidentali, siamo portati a pensare?

L’impatto sul clima

È vero che gli Usa sono ogni anno meno centrali alle Cop, ma rimangono la più grande economia e il secondo emettitore al mondo, rispettivamente prima e dopo la Cina, che però ha oltre il quadruplo della popolazione. I dati ci dicono che durante entrambe le amministrazioni Trump-Pence e Biden-Harris l’estrazione di gas e petrolio (13 milioni di barili al giorno nel 2023) hanno raggiunto i livelli più alti di sempre, la loro esportazione ha toccato picchi record, e le emissioni sono diminuite meno rispetto agli impegni presi. L’Inflation Reduction Act dovrebbe rimanere in piedi anche con una vittoria di Trump.

Questa non fermerebbe la transizione, che è ormai avviata, conveniente e incontrovertibile, ma paralizzerebbe la mitigazione, facendo saltare gli impegni presi e riducendo l’ambizione degli altri paesi. 

Il Climate Clock segna che mancano cinque anni per restare entro la soglia critica segnata dall’Accordo di Parigi; difficilmente riusciremmo a evitarla con un negazionista climatico alla Casa Bianca per i prossimi quattro.

Michael Mann, uno dei più importanti climatologi al mondo, ha detto: «Con Harris abbiamo buone probabilità di invertire gli impatti catastrofici peggiori dei cambiamenti climatici. Con Trump no. È differente come il giorno e la notte». È tutta la differenza del mondo.

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