Alla Camera è passato un provvedimento che promette di ricominciare la persecuzione contro docenti e ricercatori presunte spie comuniste. Biden ha escluso la sua firma per convertirla in legge. Ma se alla Casa bianca farà irruzione Trump, scienziati e ricercatori cinesi saranno di nuovo sospettati di essere spie
La replica della famigerata China Initiative è già pronta, approvata dalla Camera dei rappresentanti. È improbabile che ottenga l’ok del Senato, e comunque Joe Biden ha escluso la sua firma per convertirla in legge. Ma se alla Casa bianca farà irruzione per un secondo mandato Donald Trump, gli scienziati e i ricercatori cinesi negli Stati Uniti saranno di nuovo tutti sospettati di essere spie comuniste, come nella peggiore tradizione del maccartismo.
La China Initiative è emblematica del nuovo contesto geopolitico in cui la “sicurezza nazionale” si è insinuata, intossicandole, in ogni anfratto delle relazioni sino-statunitensi. Lanciata nel 2018 ufficialmente per fronteggiare lo spionaggio e il furto di proprietà intellettuale da parte di agenti cinesi, si è rapidamente trasformata in quella che le organizzazioni per i diritti civili hanno denunciato come una campagna di profilazione razziale e di allarmismo che ha preso di mira accademici e studiosi cinesi residenti negli Stati Uniti (e americani di origini asiatiche).
Una vera e propria caccia alle streghe, con duemila file giudiziari aperti, uno ogni 12 ore, e le incriminazioni che alla fine si contavano sulle dita di una mano, mentre però oltre cento scienziati avevano perso il posto di lavoro.
Nel febbraio 2022 Biden finalmente la cancellò, dopo che lo stesso dipartimento di Giustizia aveva ammesso che la China Initiative aveva favorito indagini basate su pregiudizi.
Eppure ciò non ha impedito che, l’11 settembre scorso, 214 repubblicani e 23 democratici riproponessero la misura liberticida - ribattezzata Ccp Initiative - nell’ambito del pacchetto di 25 provvedimenti approvati durante la China Week promossa dal bipartisan “Comitato speciale della Camera sulla competizione strategica tra gli Stati Uniti e il Partito comunista cinese”, istituito sotto la presidenza Biden e diventato l’organismo parlamentare di promozione della nova Guerra fredda.
Caccia alle streghe
Il fatto è che la rimozione delle misure trumpiane non ha cambiato l’assunto che ne era alla base, condiviso da ampi settori della politica e dell’elettorato statunitense, ed espresso così dal direttore del Fbi, Christopher Wray: «Non c’è nessun paese che rappresenti una minaccia più seria della Cina per le nostre idee, la nostra innovazione e la nostra sicurezza economica». Il resto ce l’ha messo il clima delle presidenziali, durante il quale repubblicani e democratici fanno a gara a sfoggiare i muscoli contro Pechino.
E così mentre qualcuno, come il professor Gang Chen - un ingegnere meccanico del Massachusetts Institute of Technology incriminato sulla base di semplici lettere di presentazioni per i suoi studenti - ha scelto di fare campagna per Kamala Harris, molti suoi colleghi cinesi ritengo piuttosto che chiunque la spunti il 5 novembre il clima sia destinato a rimanere pressoché uguale.
Se le inchieste del Fbi non hanno trovato nulla, pesanti sono state invece le sofferenze inflitte alle persone oggetto di questa persecuzione.
Ad esempio l’eminente neuroscienziata cinese Jane Wu, della Northwestern University nell’Illinois, si è suicidata l’estate scorsa dopo che era finita sotto la lente del Fbi e che le era stato chiuso il laboratorio. La sua colpa? Probabilmente quella di essere stata inserita dal governo cinese nel programma Mille talenti, per insegnare agli studenti dell’Accademia delle scienze di Pechino.
Secondo uno studio del 2024, il numero di scienziati nati in Cina che hanno lasciato gli Stati Uniti dall’inizio della China Initiative è aumentato del 75 per cento, e la maggior parte è tornata in Cina.
Chi promuove tali provvedimenti forse non conosce la storia, oppure è obnubilato dall’ansia di combattere contro un inesistente pericolo comunista.
La storia ignorata
Nel 1949, mentre a Pechino Mao proclamava la nascita della Repubblica popolare, a Pasadena un giovane scienziato cinese, Qian Xuesen, fondava il Jet Propulsion Laboratory (Jpl) del California Institute of Technology, di cui assunse la direzione, lavorando su sistemi di armamento segreti come il programma per lo sviluppo di vettori intercontinentali Titan e il Private A, il primo propellente solido testato con successo negli Stati Uniti.
Nel 1950 si aprì la stagione del maccartismo e, quello stesso anno, due ex agenti della Squadra rossa della polizia di Los Angeles, incaricata di indagare e controllare attività radicali, scioperi e rivolte, accusarono Qian di essere membro del Partito comunista.
L’uomo che oggi in Cina tutti conoscono come lo “scienziato del popolo” fu fermato con otto casse di bagaglio mentre stava partendo assieme alla moglie e ai due figli, per far visita ai suoi anziani genitori nella Repubblica popolare cinese. Secondo le autorità statunitensi, quei bauli contenevano materiale classificato che Qian stava provando a far uscire illegalmente dagli Usa.
Nonostante si fosse professato innocente e malgrado le proteste delle comunità accademica californiana, Qian venne prima costretto agli arresti domiciliari e infine, nel 1955, rispedito da San Francisco a Hong Kong a bordo della nave “SS President Cleveland”.
«Non ho intenzione di tornare, non ho nessun motivo per tornare... farò del mio meglio per aiutare il popolo cinese a costruire la nazione dove potrà vivere con dignità ed essere felice», dichiarò ai giornalisti prima di lasciare per sempre gli Stati Uniti. «È stata la cosa più stupida che questo paese abbia fatto – sostenne il segretario della marina usa Dan Kimball – Qian non era più comunista di me, e noi l’abbiamo costretto ad andarsene».
Rientrato in patria, il Partito comunista accolse Qian a braccia aperte, affidandogli la fondazione dell’Istituto di meccanica di Pechino e assicurandogli un posto nella prestigiosa Accademia delle scienze.
Qian spese tutta la sua carriera in Cina (morirà a Pechino il 31 ottobre 2009, a 97 anni) per modernizzare i sistemi missilistici dell’Esercito popolare di liberazione e i programmi spaziali nazionali, fiore all’occhiello della Cina di Xi Jinping.
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