Il primo ministro a Roma parla di «pragmatismo britannico» sulle frontiere e ascolta con attenzione la strategia governativa italiana. La premier nega le divisioni nell’esecutivo sull’Ucraina e dribbla le domande sui missili: «Sono decisioni che prendono i singoli paesi»
Vedere Keir Starmer attento a tutto ciò che spiegava Matteo Piantedosi, durante la visita al Centro nazionale di coordinamento per l’immigrazione all’Eur, è stato già di per sé un successo per Giorgia Meloni. D’altronde che il leader del Regno Unito, per giunta laburista, sia venuto a Roma per prendere appunti sul contrasto ai flussi migratori dal governo più di destra mai avuto in Italia è un’ottima opportunità di marketing. Un assist che Meloni non si è lasciata scappare.
Proprio perché non è l’amico e conservatore Rishi Sunak, il valore dell’interesse di Starmer vale doppio per palazzo Chigi, benché il premier inglese fin dal suo insediamento abbia posto grande attenzione alla lotta all’immigrazione irregolare. In maniera meno propagandistica dei governi Tories, tanto da stracciare il costoso, inefficace e crudele piano Ruanda, ma più pragmatica, almeno così sostiene, per rassicurare la consistente fetta di popolazione britannica sensibile alla questione.
Nella conferenza stampa congiunta a Roma, Starmer ha parlato proprio di «pragmatismo britannico», dimostrato tra le altre cose con la creazione di un Comando per la sicurezza delle frontiere, di cui ieri è stato nominato il capo, Martin Hewitt. Per il laburista la priorità è quella di fronteggiare i trafficanti di esseri umani e smantellarne le reti. Quindi compiere un lavoro specifico sui paesi di origine e di transito dei migranti in modo da «prevenire le partenze delle persone, che è molto meglio del gestire gli arrivi».
Il laburista ha scelto di prendere come riferimento Meloni, i rapporti dell’Italia con i paesi nordafricani e l’accordo con Tirana per i centri di migranti. «Il programma in Albania non è ancora in funzione, ci siamo confrontati sul concetto», ha detto Starmer lodando i risultati raggiunti dall’Italia. Per la piena operatività dei centri in Albania bisognerà aspettare ancora qualche settimana, ha confessato Meloni, per poi allontanare a parole gli spettri di violazioni di diritti umani nelle due nuove strutture a Gjader e Shengjin.
Durante la conferenza una giornalista britannica, infatti, ha chiesto lumi sul rischio di trattamenti degradanti per i migranti. La premier, tranchant, ha ribadito che nei centri di giurisdizione italiana vigeranno le stesse regole degli hotspot presenti sul territorio italiano, come per esempio Lampedusa.
Tra Regno Unito e Italia si lavorerà ancor di più «condividendo dati e intelligence», hanno poi detto i due leader, con l’intento di rafforzare Europol e Interpol. Inoltre, Londra contribuirà con quattro milioni di sterline al cosiddetto Processo di Roma, l’iniziativa italiana per affrontare le cause dell’immigrazione irregolare insieme ai paesi africani, medio orientali ed europei.
L’imbarazzo in patria
Tuttavia, la decisione di Downing Street di prendere ispirazione dal governo Meloni è stata ampiamente criticata in patria. In questo senso è emblematica la domanda della cronista inglese, segnale di timori diffusi. Ma i malumori sono arrivati anche da quei laburisti che non vogliono copiare strategie di estrema destra.
Per la deputata laburista Kim Johnson «è inquietante che Starmer cerchi di farsi dare lezioni da un governo neofascista, in modo particolare dopo i disordini contro i rifugiati e il terrorismo razzista che si è diffuso in Gran Bretagna quest’estate». Johnson ritiene inutile cercare di rincorrere la destra con misure draconiane che «non dissuadono le persone disperate dal cercare asilo e pongono il rischio di violazioni significative dei diritti umani».
Un secondo deputato dei Labour ha ammesso in maniera anonima al Guardian che «flirtare con Meloni è vergognoso. Non fa altro che disumanizzare e maltrattare persone che fuggono da guerre e persecuzioni. Lascia un sapore molto amaro nella bocca di molti nel partito».
Anche alcune ong hanno palesato il loro dissenso. Insomma, l’imbarazzo per Starmer c’è. Non a caso alcuni esponenti del suo gabinetto hanno cercato di moderare lo slancio. La Home Secretary Yvette Cooper, incalzata in una trasmissione, ieri ha smentito che Londra stia pensando di copiare veramente il “piano Albania” ma sta aspettando per vedere «come si svilupperà».
L’Ucraina e le armi
L’altro grande dossier nel bilaterale anglo-italiano è stato quello del conflitto ucraino, specie per il possibile via libera all’uso di armi occidentali - anche missili a lungo raggio - in territorio russo. Starmer non è stato particolarmente incisivo, limitandosi a ripetere un mantra ormai noto: il sostegno a Kiev durerà fin quando necessario. Il ringraziamento a Meloni «per la sua leadership» sulla guerra, pur ammantato da un velo di cortesia, è stato apprezzato dalla leader di Fratelli d’Italia.
La presidente del Consiglio, invece, si è smarcata dalla domanda sull’autorizzazione dei missili perché «sono decisioni che prendono i singoli paesi che forniscono questi armamenti». «In Italia questa autorizzazione oggi non è in discussione», ha aggiunto Meloni smentendo divisioni nel suo governo ma sottolineando che sono posizioni convenute con gli alleati internazionali.
L’importante per la premier è che «Kiev costruisca le migliori condizioni possibili per un tavolo di pace», con l’Italia che non indietreggerà ma continuerà a concentrarsi sulla difesa anti-area dell’Ucraina, con l’imminente invio del secondo Samp-T. Il progetto congiunto del Global combat air programme (Gcap) proseguirà, vista la sua «valenza strategica», mentre anche Starmer - in difficoltà in patria sulla ripresa economica - torna a casa con un piccolo assist: gli annunciati investimenti italiani - di Leonardo e Marcegaglia - nel Regno Unito dal valore di 500 milioni di euro. Ognuno, in fondo, tira acqua al proprio mulino.
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