Sconfiggere Hezbollah sul terreno per eliminare la minaccia nel nord di Israele è il piano del governo israeliano di Benjamin Netanyahu. Su questo, fonti militari libanesi ben informate confermano che «a giorni» potrebbe cominciare l’invasione militare di terra del sud del paese.

Ma questa dovrebbe essere solo la prima fase di una sequenza più articolata che prevede il coinvolgimento sia delle forze armate regolari libanesi, al comando del generale Joseph Aoun, candidato alla presidenza della Repubblica, sia degli attuali vertici istituzionali del Libano: Nabih Berri, inamovibile presidente del parlamento e interlocutore diretto dell’inviato speciale Usa Amos Hochstein; e Najib Miqati, premier uscente e uno degli imprenditori più influenti di tutto il Medio Oriente, con interessi in Europa e Nordamerica.

L’asse israelo-libanese

Secondo le fonti, che hanno accesso diretto ai colloqui tra Berri e Hochstein e tra gli alti organi istituzionali libanesi, il progetto israeliano prevede, in sostanza, un’avanzata fulminea nel sud del Libano sbaragliando Hezbollah, già alle corde dopo i numerosi colpi subiti nelle ultime settimane. Finito quello che viene definito «il lavoro sporco» nell’arco di «meno di un mese», Israele punta a creare una “fascia di sicurezza” molto simile a quella che negli anni Ottanta e Novanta lo Stato ebraico aveva creato nel sud del Libano con l’allora contributo decisivo di collaborazionisti libanesi.

Attori libanesi interessati a far parte dell’eventuale era post Hezbollah non mancano. Non sono soltanto identificati con i gruppi storicamente vicini a Israele, all’Arabia Saudita e agli Stati Uniti, come il partito delle Forze libanesi guidate da Samir Geagea. Ma anche alcuni quadri delle istituzioni centrali libanesi. Come, appunto, membri di rango dell’esercito regolare.

Per evitare che il progettato passaggio di consegne tra israeliani e libanesi per il controllo del territorio meridionale avvenga in maniera diretta, delegittimando di fronte all’opinione pubblica le forze armate di Beirut, si chiederebbe alla missione militare Onu (Unifil), dal 1978 dispiegata nel sud del Libano e di cui fanno parte dal 2006 un migliaio di italiani, di svolgere il compito di interfaccia, apparentemente neutra, tra gli occupanti e l’esercito regolare.

Si tratta ovviamente di uno scenario ipotetico e pieno di incognite, a partire da come effettivamente Hezbollah potrà essere in grado di resistere al «corpo a corpo» nel sud, da come reagirà l’Iran e da numerose altre variabili. Le fonti però non hanno molti dubbi: «Sarebbe illogico pensare», affermano, «che Israele rimanga a bombardare dall’alto. Se, come dicono, intendono sconfiggere Hezbollah, devono colpire ora che il partito appare alle corde».

Sin dalle eliminazioni mirate di comandanti militari, passando per gli attacchi clamorosi ai cercapersone e ai walkie-talkie, continuando con i bombardamenti a tappeto del sud del Libano, della Bekaa e di diverse zone di Beirut, e culminando con l’inaspettata uccisione del leader Hasan Nasrallah, «la sequenza prevede ora l’invasione di terra».

Israele, affermano, appare fiduciosa di aver distrutto le principali piattaforme di lancio di razzi e missili e di aver interrotto le vie di telecomunicazioni e comunicazioni logistiche sul terreno, dalle retrovie della Bekaa e della Siria fino al fronte del sud e al cuore politico e strategico della periferia sud della capitale. Da questa prospettiva, Israele sta provando ad applicare lo stesso schema adottato per la Striscia di Gaza, tenendo però conto che il territorio è diverso e l’attore rivale è, potenzialmente, ancora meglio organizzato e armato di Hamas.

Il ruolo di Unifil e governo

In questo scenario, i militari di Unifil, compresi gli italiani, dovranno rimanere nei bunker delle loro basi, senza esser costretti all’evacuazione. «Dovranno aprire l’ombrello in attesa che passi la tempesta». Allo stesso modo, gli sparuti militari libanesi ancora presenti nel sud potranno rimanere nelle loro basi, senza esser presi in mezzo al fuoco tra israeliani e Hezbollah. «I vertici militari libanesi hanno gran timore oggi di schierarsi apertamente contro il partito. Ma alcuni settori attendono che Israele vinca la battaglia per sedersi al tavolo della spartizione di potere nel periodo successivo».

In questo scenario potrà essere decisivo il ruolo di Berri e Miqati, i due rappresentanti istituzionali intenzionati a sopravvivere incolumi, e forse rinforzati, da questa ennesima – ma forse senza precedenti – tempesta mediorientale. Berri, sebbene sia da tempo un alleato di Hezbollah, è un camaleonte abituato da mezzo secolo a spericolate acrobazie politiche. Miqati, dal canto suo, ha oggi ribadito al ministro degli Esteri francese, Jean-Noel Barrot, in visita a Beirut, l’intenzione di far rispettare, a conflitto terminato, la risoluzione Onu n. 1701 del 2006. Questa prevede, tra l’altro, il pieno dispiegamento dell’esercito libanese nel sud come unica entità armata nella zona a nord di Israele.

L’esercito regolare non è però un’entità totalmente super partes, come da anni viene ripetuto dentro e fuori dal Libano. I quattro principali finanziatori delle forze armate libanesi sono, nell’ordine, gli Stati Uniti, la Francia, l’Arabia Saudita e il Regno Unito, ovvero le due potenze coloniali storiche del Medio Oriente assieme alla potenza americana e al suo alleato saudita. L’Italia partecipa agli sforzi di sostenere l’esercito regolare fornendo addestramento per le sue unità, sempre più impiegate nel paese come forza di polizia e anti sommossa.

Se l’offensiva militare di terra israeliana avesse successo, sconfiggendo la resistenza armata di Hezbollah, l’esercito libanese potrebbe essere usato come forza/cliente locale per proteggere, prima di tutto, gli interessi dello Stato ebraico. E, una volta finito questo round di guerra, potrebbe essere finalmente eletto il nuovo presidente della Repubblica libanese. La carica vacante da ben due anni potrebbe andare, in premio, proprio all’attuale capo delle forze armate, il generale Joseph Aoun.

© Riproduzione riservata