Il premier israeliano frena i piani di Amos Hochstein e Brett McGurk, inviati da Joe Biden per trovare un accordo sul Libano. E mette in guardia anche Teheran
«Qualsiasi tregua che venga raggiunta con Hezbollah sul Libano deve garantire la sicurezza di Israele». Lo ha affermato prudente e cauto il premier israeliano Benjamin Netanyahu ai due inviati americani del presidente Joe Biden, Brett McGurk e Amos Hochstein.
«Il primo ministro israeliano ha specificato che la questione principale non sono le scartoffie per questo o quell’accordo, ma la determinazione e la capacità di Israele di garantire l’applicazione dell’accordo e di prevenire qualsiasi minaccia alla sua sicurezza proveniente dal Libano», ha fatto sapere l’ufficio di Netanyahu dopo l’incontro svoltosi a Gerusalemme con gli inviati di Biden. Quanto all’Iran Tel Aviv non abbassa la guardia. «Oggi Israele ha più libertà di azione in Iran di quanta ne abbia mai avuta» e «può raggiungere qualsiasi luogo in Iran se necessario», ha dichiarato sempre Netanyahu, tornando sulla recente rappresaglia dello Stato ebraico contro la Repubblica islamica durante un discorso pronunciato alla cerimonia di chiusura del corso per ufficiali delle Idf.
E alle parole del premier israeliano sul negoziato libanese replica Hezbollah. «Non ci sono novità reali che possano far pensare al raggiungimento di un accordo in tempi brevi», ha detto il ministro della cultura libanese, Muhammad Murtada, che è in quota politica di Hezbollah. Citato dall’agenzia nazionale di notizie Nna, Murtada ha affermato che Hezbollah sostiene la posizione del governo di Beirut: «O un cessate il fuoco con l’applicazione della risoluzione 1701», ha detto, «o il proseguimento della guerra di Israele contro il Libano».
Il giorno precedente, il premier uscente Najib Miqati aveva espresso ottimismo rispetto all’imminenza del raggiungimento di un accordo per il cessate il fuoco. Parlando in tv Miqati aveva detto che l’intesa sarebbe potuta essere raggiunta «nelle prossime ore». Analisti regionali affermano che, sebbene tutte le parti coinvolte nel conflitto affermino di volere l’applicazione della risoluzione Onu 1701 del 2006, questa viene letta e presentata invece da ciascuna parte in maniera parziale, a seconda di quale aspetto si voglia enfatizzare e di quali altri aspetti si preferisca mettere in ombra.
Il conflitto intanto non conosce tregua. A Metula, nel nord di Israele, vicino al confine con il Libano cinque persone sono state uccise dal lancio di razzi e un’altra persona è rimasta gravemente ferita, riporta Haaretz.
L’incidente è avvenuto in una zona agricola nei pressi della città. Quattro delle vittime sono lavoratori stranieri provenienti dalla Thailandia e uno è un cittadino israeliano. Un membro del team di risposta alle emergenze di Metula ha detto ad Haaretz che l’esercito aveva permesso ai lavoratori di entrare nella zona, nonostante si tratti di una zona militare chiusa.
No di Hamas a tregua breve
Hamas ha ribadito la sua opposizione a qualsiasi proposta di sospensione temporanea dei combattimenti a Gaza, insistendo su un cessate il fuoco permanente. «L’idea di una pausa temporanea nella guerra, solo per riprendere l’aggressione in seguito, è qualcosa su cui abbiamo già espresso la nostra posizione. Hamas sostiene una fine permanente della guerra, non temporanea», ha dichiarato un alto esponente del gruppo militante palestinese, Taher al-Nunu. Secondo una fonte vicina ai colloqui, i mediatori dovrebbero proporre ad Hamas una tregua di «meno di un mese» con uno scambio tra ostaggi israeliani e detenuti palestinesi e l’aumento degli aiuti a Gaza.
Questa ipotesi è stata al centro delle discussioni avute tra domenica e lunedì tra il capo del Mossad David Barnea, il direttore della Cia William Burns e il primo ministro del Qatar a Doha. Nunu ha detto che Hamas non ha ricevuto finora alcuna proposta, aggiungendo che se ricevesse un piano del genere, risponderebbe.
Allo stesso tempo, ha ribadito le richieste ripetute in questi mesi dal gruppo: «Un cessate il fuoco permanente, il ritiro (delle forze israeliane) da Gaza, il ritorno degli sfollati, sufficienti aiuti umanitari alla Striscia e un serio accordo di scambio di prigionieri».
Insomma nessun passo avanti nella trattativa con la stessa posizione di Yahya Sinwar.
Altri morti in Libano
È di almeno 12 persone uccise, tra cui alcune donne, il bilancio dei recenti attacchi di Israele in varie regioni del Libano. Lo riferisce il ministero della sanità libanese, secondo cui queste vittime si aggiungono alle 15 registrate stamani. Secondo il ministero, una donna è stata uccisa e suo marito ferito nella valle della Bekaa da un raid aereo israeliano.
Un altro attacco sferrato dall’aviazione dello Stato ebraico ha ucciso cinque persone a Hermel, nella cittadina di Mekne, dove un edificio è stato colpito e distrutto. L’agenzia governativa di notizie Nna afferma che a Mekne si scava sotto le macerie alla ricerca di altre vittime.
I media statali siriani hanno riferito intanto che l’esercito israeliano ha attaccato diversi edifici nella zona di Al-Qusayr, alla periferia della città di Homs, in Siria: tre le vittime.
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