Domani il premier israeliano Benjamin Netanyahu parlerà in una sessione congiunta al Congresso americano. Un discorso che alcuni democratici boicotteranno, così hanno detto, mentre altri hanno promesso di interromperlo.

Ma cosa cambia nei rapporti tra Usa e Israele dopo il passo indietro di Joe Biden dalla corsa alla Casa Bianca? La risposta di Netanyahu è rassicurante, da vecchia volpe della politica internazionale che si è scontrato con asprezza con il presidente americano.

«In questo periodo di guerra e incertezza, è importante che i nemici di Israele sappiano che America e Israele sono uniti, oggi, domani e sempre», ha detto alla vigilia del suo viaggio negli Usa (ieri è arrivato a Washington). Insomma sia con Donald Trump sia con Kamala Harris i legami profondi tra i due paesi non subiranno modifiche di rilievo.

Guardando Harris

Possibile? Kamala Harris a marzo, ha dichiarato che Israele non stava facendo abbastanza per alleviare una «catastrofe umanitaria» durante la sua offensiva di terra nella Striscia di Gaza. In seguito, non ha escluso «conseguenze» per Israele se avesse lanciato un’invasione su vasta scala di Rafah.

Secondo alcuni analisti sentiti da Reuters, questo linguaggio sembra indicare la possibilità che Harris, qualora fosse eletta presidente, possa adottare una linea retorica con Israele più dura di quella di Biden.

Effettivamente mentre Biden, 81 anni, ha una lunga storia con i leader israeliani e si è addirittura definito un «sionista», Harris, 59 anni, ha forti legami con la comunità ebraica (suo marito Doug Emhoff, è ebreo molto attivo nella lotta contro l’antisemitismo) ma anche con l’ala dei progressisti democratici, quelli vicini a Alexandria Ocasio-Cortez, che ha spinto Biden a porre condizioni alle spedizioni di armi statunitensi a Israele preoccupati per le elevate vittime civili palestinesi a Gaza.

Linea di continuità

In realtà la maggioranza degli analisti non si aspetta un grande cambiamento nella politica americana nei confronti di Israele, il più stretto alleato di Washington in Medio Oriente.

Intervistato da Nbc News Aaron David Miller, ricercatore senior presso il think tank Carnegie Endowment for International Peace, ha detto che che una presidenza Harris potrebbe far cambiare il “tono” nei confronti di Israele ma non la politica. «Quando si tratta di Israele, ha opinioni molto moderate – ha detto – A sinistra di ciò che Biden è pronto a fare, ma molto più a destra» di chi vorrebbe sanzionare Israele.

Halie Soifer, che ha servito come consigliere per la sicurezza nazionale di Harris durante i primi due anni dell’allora senatrice al Congresso, ha affermato che il sostegno della vicepresidente a Israele è stato altrettanto forte di quello di Biden.

Certo, le cose potrebbero cambiare qualora fosse chiamata a decidere in prima persona ma intanto Harris avrà un incontro, precedentemente programmato con Netanyahu, durante la sua visita a Washington. Sarebbe il suo primo faccia a faccia con un leader straniero da quando Biden l’ha indicata come sua possibile successora. L’ennesimo segnale di quanto sia rilevante il rapporto della Casa Bianca con Israele.

Il fronte dello Yemen

Intervistato dall’Ansa Ziad Gharsi, direttore del dipartimento dei media del palazzo presidenziale di Sanaa, capitale dello Yemen da dieci anni in mano alle forze Houthi, ha detto che «il nemico israeliano non è più al sicuro in quella che viene chiamata Tel Aviv. Li colpiremo di nuovo. A ogni escalation nemica risponderemo con un’escalation da parte nostra».

Un avvertimento simile a quello lanciato nei giorni scorsi da Mohammed Abdulsalam, portavoce del gruppo sostenuto dall’Iran; «Gli Houthi dello Yemen continueranno ad attaccare Israele, non ci saranno linee rosse nella risposta degli Houthi a Israele».

La ripresa dei colloqui

Giovedì una delegazione israeliana tornerà ai negoziati tenuti dai mediatori di Usa, Egitto e Qatar per un nuovo cessate il fuoco nella Striscia di Gaza e il rilascio degli ostaggi. Lo ha deciso il premier Netanyahu che ha avuto – ha fatto sapere il suo ufficio – «un dibattito approfondito sulla questione degli ostaggi insieme al gruppo negoziale e agli alti funzionari della sicurezza».

Intanto l’esercito israeliano ha annunciato che altri due ostaggi, Alex Danzig di 76 anni e il 35enne Yagev Buchshtab, sono stati uccisi durante la prigionia a Gaza mesi fa. L’Idf sta indagando le circostanze della morte per capire se a ucciderli siano stati attacchi israeliani.

© Riproduzione riservata