Una rete di interessi comuni: aiuti militari da Iran e Nord Corea, quelli tecnologici da India e Cina. Una geometria variabile costruita sullo scambio e sottovalutata dalle leadership occidentali
I diversi eventi di politica internazionale, che hanno avuto luogo in queste prime settimane di luglio, stanno delineando un quadro sempre più articolato, ma sufficientemente chiaro, di un sistema globale che a Pechino hanno da tempo definito come caratterizzato da «grandi cambiamenti mai visti in un secolo».
L’invasione russa in Ucraina ha indubbiamente accelerato il processo di militarizzazione di diversi Stati nel mondo, con casi piuttosto eclatanti come la Germania e il Giappone, ma ha anche messo in luce l’ascesa politica ed economica del cosiddetto sud globale, che mira al rafforzamento della propria autonomia politica dal mondo occidentale, sostenuto dalla politica revisionista della Cina e della Russia.
In questa contrapposizione tra paesi occidentali, racchiusi nell’Alleanza Atlantica, e “resto del mondo”, si aggiungano anche i diversi allargamenti dei BRICS a Etiopia, Egitto, Iran, Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti all’inizio del 2024 e l’entrata della Bielorussia di Aleksandr Lukashenko nell’Organizzazione per la Cooperazione di Shangai (SCO) al summit del 3-4 luglio ad Astana per aggiungere altri tasselli di un mosaico all’interno del quale la Russia di Putin è tutt’altro che immobile o isolata.
È ormai da un anno, ovvero dopo l’inefficace controffensiva ucraina dell’estate 2023, che gli esperti di politica russa e internazionale, che non si lasciano trascinare nelle loro analisi da ideologie e tifi esasperati, ritengono che il presidente russo Vladimir Putin abbia il coltello dalla parte del manico politicamente, economicamente e militarmente nella guerra in Ucraina e nella sfida al mondo occidentale.
Ciò non vuol dire che la Russia non stia riscontrando alcuna difficoltà, ma l’economia di guerra e le azioni intraprese dalla governatrice della Banca Centrale russa, Elvira Nabiullina, hanno risollevato diversi indicatori e quanto meno ritardato un tracollo del sistema, troppo frettolosamente annunciato nei media occidentali sin dai primi mesi dell’invasione nel 2022.
Il panorama interno
Politicamente, dopo il tentativo di ammutinamento di Evgenij Prigožin e la morte di Aleksej Navalnyj, la rielezione al quinto mandato presidenziale di Putin ha anche “soffocato” la lotta per il potere tra le fazioni interne al Cremlino, che ne stavano minando la coesione interna, e rafforzato l’apparato di sicurezza, il sistema dei siloviki nella gestione della “verticale del potere”.
Anche in questo caso, tuttavia, gli attacchi terroristici al Krocus City Hall a Mosca dello scorso marzo e quelli più recenti in Daghestan dimostrano che le questioni irrisolte o congelate dai tempi del crollo dell’URSS possono impattare enormemente sulla stabilità politica e la sicurezza territoriale, – valori fondamentali della politica putiniana – , ma anche sull’immagine del presidente nell’opinione pubblica russa.
La reazione del Cremlino a queste dinamiche è sempre la medesima: rispondere alle minacce con un inasprimento delle politiche repressive e con un’inversione sempre più totalitaria del regime politico.
A tal riguardo, vanno segnalati il recente ordine di arresto in absentia della Corte di Mosca nei confronti di Julija Naval’naja, accusata di far parte di un’organizzazione estremista e il trasferimento in ospedale del dissidente Vladimir Kara-Murza, – condannato a 25 anni di carcere nel 2023 –, per un peggioramento delle condizioni di salute su cui anche i suoi avvocati hanno difficoltà a reperire notizie e ad incontrarlo.
Lo scenario internazionale
Se è dalla politica domestica russa che possono provenire inattesi “colpi di scena” che il presidente Putin è sinora riuscito a gestire, trasformando situazioni di oggettiva debolezza politica nella percezione collettiva di un rafforzamento della sua posizione di potere, è la politica internazionale il locus entro il quale Putin può ritenersi sinora ampiamente soddisfatto.
Archiviata l’imbarazzante sconfitta strategica delle prime settimane dell’invasione, grazie in primis al contributo sul campo dei mercenari di Wagner, a rotazioni nelle gerarchie militari e ai problemi dell’esercito ucraino, il presidente russo può contare su un ruolo più attivo e decisivo sul piano militare e diplomatico.
Come descrivono gli esperti di studi strategici e militari, siamo in presenza di una “guerra di trincea” dove la Russia con estrema lentezza occupa solo piccole porzioni di territorio in virtù anche di una straordinaria resistenza ucraina: “straordinaria”, tenendo conto del rapporto impari tra forza uomo e armi a disposizione tra i due eserciti. Non ci sono grandi vittorie, ma nemmeno eclatanti sconfitte per l’esercito russo, come in passato.
Aiuti militari
Putin ha chiesto “aiuto” militarmente ad alcuni Stati come l’Iran e la Nord Corea, economicamente e tecnologicamente come all’India e alla Cina, per risolvere le difficoltà emerse nel primo anno di guerra nell’apparato militare. È un segnale di debolezza? Certo, la Russia di Putin può essere considerata un attore debole, in difficoltà, ma la questione dirimente è come sia riuscita a trasformare tutte queste debolezze in punti di forza o di assestamento.
E una delle risposte è stata, da un lato, la capacità del Cremlino di creare un sistema di cooperazione, di do ut des con diversi paesi sulla base di interessi comuni e, dall’altro, la sottovalutazione delle leadership occidentali di questa geometria variabile di alleanze e di cooperazioni che coinvolgono diverse aree geopolitiche.
Per il Cremlino, chi si trova, infatti, in grande difficoltà in questa fase è il suo acerrimo nemico storico, gli Stati Uniti, e, con effetto domino, anche la NATO, l’Unione europea e, soprattutto, l’Ucraina dove il presidente Volodomyr Zelensky non può basarsi solamente sulle parole di circostanza, proclami o nuovi concetti strategici per stare tranquillo. Mentre molti giornalisti e opinionisti, anche nostrani, scrivevano che Putin era un pazzo, un malato terminale o sostituito da diversi sosia, negli USA il deficit cognitivo del presidente americano Joe Biden si stava manifestando da qualche anno.
Non è un caso che Donald Trump avesse coniato il termine “sleepy Joe” nel 2019, dando il via ad una serie di meme e battute infelici sul presidente Biden anche nei media e social russi. E forse non è un caso, come ricorda un attento osservatore delle dinamiche russe, che Putin augurasse “buona salute” a Biden già nel 2021.
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