Ennesima stangata per il governo Meloni. Il tribunale di Bologna ha rinviato alla Corte di giustizia europea il decreto legge varato meno di dieci giorni fa in Consiglio dei ministri che ha reso norma primaria, e non più secondaria, l’indicazione dei paesi sicuri per il rimpatrio.

La decisione

La sezione immigrazione del tribunale di Bologna ha ritenuto «sussistenti» i presupposti per chiedere quale sia il parametro «sulla cui base debbono essere individuate le condizioni di sicurezza che sottendono alla designazione di un paese terzo come paese di origine sicuro» e se «sussista sempre l’obbligo per il giudice nazionale di non applicare» le disposizioni nazionali in caso di contrasto con la direttiva europea sul riconoscimento e la revoca della protezione internazionale.

Secondo i giudici, ci troviamo «in presenza di un gravissimo contrasto interpretativo del diritto dell’Unione» che «attualmente attraversa l’ordinamento istituzionale italiano» e quindi «il rinvio alla Corte è opportuno al fine di conseguire un chiarimento sui principi del diritto europeo che governano la materia». Una richiesta di chiarimento che non preoccupa soltanto il governo italiano, ma anche quelli degli altri stati membri che stanno siglando accordi per implementare i rimpatri verso i paesi d’origine in Nord Africa.

Basti pensare che ieri il presidente francese Emmanuel Macron era in Marocco per chiedere alle autorità di Rabat di accettare un numero maggiore di suoi cittadini rimpatriati da Parigi. La decisione del tribunale di Bologna è arrivata dopo che un migrante proveniente dal Bangladesh ha impugnato la decisione della commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale di Bologna che aveva dichiarato la sua domanda di protezione internazionale manifestamente infondata in ragione della sua provenienza da un «paese di origine sicuro».

Confronto imbarazzante

La sentenza si concentra anche sulla definizione di paesi sicuri, contestando il principio secondo cui uno stato può essere sicuro per la maggior parte della popolazione che vi vive, ma il sistema di protezione internazionale si rivolge in particolare alle minoranze.

Da qui il parallelismo che imbarazza il governo: «Si potrebbe dire, paradossalmente, che la Germania sotto il regime nazista era un paese estremamente sicuro per la stragrande maggioranza della popolazione tedesca: fatti salvi gli ebrei, gli omosessuali, gli oppositori politici, le persone di etnia rom ed altri gruppi minoritari, oltre 60 milioni di tedeschi vantavano una condizione di sicurezza invidiabile. Lo stesso può dirsi dell’Italia sotto il regime fascista».

Mentre il governo stringe accordi in Nord Africa con regimi repressivi e costruisce nuovi cpr per migranti in Italia e all’estero (vedi il protocollo Albania), la magistratura mette in discussione – in punta di diritto – le sue scelte.

La decisione di Bologna segue quella del 18 ottobre dei giudici di Piazzale Clodio che avevano deciso di non convalidare il trattenimento nel centro di Gjader in Albania di dodici migranti provenienti da Bangladesh ed Egitto.

Secondo i giudici di Roma, il diritto del governo non può essere considerato superiore all’ordinamento europeo. E Bangladesh ed Egitto non possono essere definiti «paesi sicuri». Da lì la forzatura del governo di adottare un ulteriore decreto in Cdm, ora finito sotto la lente della Corte di giustizia europea. Da anni associazioni e ong contestano la lista dei paesi sicuri dove figurano stati repressivi come Egitto e Tunisia con cui Meloni continua a fare accordi.

Reazioni

«Al potere giudiziario non spetta cercare di cambiare le leggi e fare il braccio di ferro con il potere esecutivo e legislativo. Il potere legislativo ha fatto il suo compito: tocca al governo e al parlamento prendere le decisioni, perché la democrazia è il potere nelle mani del popolo», ha commentato il vicepremier Antonio Tajani.

«C’è un governo che difende la sicurezza e la legalità e una magistratura che fa scelte diverse, con una sfida dal sapore politico che non ci sorprende e ci rafforza in un giudizio negativo che riguarda sì una minoranza di togati, ma che non può non estendersi a un intero corpo che non reagisce a questi atti politici, che vanno fuori dalle regole costituzionali vigenti», ha detto il presidente dei senatori di Forza Italia, Maurizio Gasparri. Per il segretario di +Europa Riccardo Magi, «è l’ennesima prova che il governo avanza a tentoni sulla questione migranti, sul diritto all’asilo e sul diritto europeo».

La visita in Libia

Nel momento in cui la notizia della sentenza di Bologna veniva pubblicata nelle agenzie, la premier Giorgia Meloni era di rientro dal suo terzo viaggio in meno di un anno in Libia. La visita lampo di ieri è rientrata nell’ambito del business forum organizzato tra i due paesi a Tripoli che ha l’obiettivo di stringere accordi commerciali, rilanciare la cooperazione economica e, come al solito, gestire i flussi migratori dopo un’estate in cui gli arrivi in Italia sono calati di circa il 60 per cento, secondo i dati del Viminale.

A Tripoli Meloni ha annunciato, come se fosse chissà quale grande traguardo, la ripresa dei voli diretti di Ita Airways verso la Libia a partire dal prossimo gennaio.

La delegazione italiana si è portata a casa ben otto accordi commerciali con le autorità locali e le società italiane. Accordi in ambito della cooperazione allo sviluppo, del settore energetico, e per rinforzare le piccole e medie imprese. Meloni – che è stata accompagnata dal ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso – ha avuto un incontro bilaterale con il premier libico Abdel Hamid Dbeibeh incentrato sulla gestione dei flussi migratori.

Roma continuerà a fornire supporto logistico al governo di Tripoli. Soltanto qualche settimana fa è stato inaugurato un nuovo centro di addestramento per la guardia costiera libica – accusata di numerose violazioni di diritti umani – grazie alle autorità italiane.

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