La pontificia Commissione per la tutela dei minori, sottolinea l’importanza di conoscere i numeri delle vittime e degli abusatori per comprendere l’entità del fenomeno. Chieste procedure semplificate per rimuovere i leader della Chiesa responsabili rispetto a casi di abuso: serve trasparenza, afferma il rapporto, per informare le vittime sulla possibilità dei processi canonici
«Purtroppo, gran parte della Chiesa rimane priva di solide pratiche o capacità di raccolta dati. Eppure, i dati sono fondamentali per la nostra capacità di promuovere la responsabilità. Pertanto, dobbiamo impegnarci a investire nell'infrastruttura e nelle risorse di raccolta dati della Chiesa. In breve, questo è soprattutto uno strumento di responsabilità nel tempo».
È quanto ha affermato la giurista Maud de Boer-Buquicchio, esperta di diritti dell’infanzia, responsabile del primo “Rapporto annuale sulle politiche e le procedure della Chiesa per la tutela, della Pontificia commissione per la tutela dei minori” presentato in Vaticano. Quindi la studiosa ha aggiunto: «Sappiamo che, in collaborazione con molti altri, dobbiamo migliorare significativamente la verifica dei nostri dati, attraverso riferimenti incrociati con fonti esterne».
Dunque, la Santa Sede chiarisce, senza margine di dubbio, che «i numeri» relativi al fenomeno sono un fattore decisivo per la comprensione di un fattore di crisi che ha sconvolto la Chiesa nel corso degli ultimi decenni. Non solo: i dati rappresentano un’assunzione di responsabilità; inoltre si ammette la necessità di incrociare i dati con fonti esterne, cioè con indagini condotte da istituzioni terza rispetto a quelle ecclesiali.
La Cei non fornisce dati
E chissà cosa ne pensano alla Cei, la Chiesa italiana infatti resta ferma, su questo punto, a quanto emerso fino ad ora. E cioè ai 613 casi trattati dal Dicastero per la dottrina della fede nel corso di un ventennio, dal 2000 al 2021, già noti dal 2022, ora oggetto di uno studio specifico che vedrà la luce nel corso de 2025 (secondo una recente indagine dell’associazione “Rete l’Abuso”, dal 2000 a oggi sarebbero circa 1200 i casi di abuso su minori riguardanti membri del clero in Italia, ma si tratta d una stima prudente).
A mancare è uno studio statistico sull’incidenza reale del fenomeno abusi nella Chiesa italiana, nelle singole diocesi, nelle parrocchie, magari incrociando i dati con i casi trattati dalla giustizia civile, sul modello di quanto avvenuto in Francia o su quello che si fa ogni anno negli Stati Uniti; la motivazione che di solito fa propria la Conferenza episcopale per giustificare questa scelta, è che la Chiesa italiana preferisce mettere l’accento sulle attività di prevenzione piuttosto che su numeri il cui effetto sarebbe più che altro scandalistico, ma da oggi sostenere le ragioni di una simile reticenza diventa di certo più complicato.
In generale, il tema della mancanza di informazioni sulla reale entità del dramma abusi nella Chiesa, riguarda le chiese locali del sud del mondo, rileva il rapporto, dove permane un diffusa cultura del silenzio. Per esempio nel testo in relazione a quanto avviene nel continente asiatico, si rilevano «le difficoltà nell’identificare e affrontare con precisione la reale portata degli abusi all’interno delle istituzioni ecclesiastiche, a causa di una pervasiva cultura del silenzio, della riluttanza a denunciare gli abusi e di una generale mancanza di educazione e consapevolezza sulle prassi di tutela».
Lo stesso avviene in Africa e, in parte, in America del Sud. In riferimento all’importanza delle parole delle vittime per la presa di coscienza della chiesa che per lungo tempo non ha agito per arginare lo scandalo, il presidente della Pontificia commissione per la tutela dei minori, il cardinale statunitense Sean Patrick O’Malley, ha affermato: «Le loro storie rivelano un periodo privo di affidabilità, in cui i leader della chiesa hanno tragicamente deluso coloro che siamo chiamati a pascere. È stato un periodo anche privo di professionalità, in cui i leader della chiesa hanno preso decisioni senza attenersi alle politiche, alle procedure o agli standard di base per la tutela delle vittime. È un periodo buio in cui la sfiducia ha ostacolato la nostra capacità di essere testimone di Cristo».
In quanto alle proposte concrete, la commissione vaticana individua diversi campi d’azione, intanto affermando “la necessità di un procedimento disciplinare o amministrativo che fornisca un percorso efficiente per le dimissioni o la rimozione dall’incarico” dei leader della Chiesa responsabili degli abusi.
Informare le vittime
Quindi si auspica un documento del magistero – come un’enciclica – che affronti la questione abusi sotto vari punti di vista. Inoltre, «la Commissione riconosce che tra le principali priorità per coloro che sono stati colpiti da abusi vi è l’accesso alla verità. In linea con la richiesta di una trasparenza sempre maggiore si dovrebbero esplorare misure che garantiscano a qualsiasi individuo il diritto alle informazioni — conservate presso qualsiasi istituzione della Chiesa — a lui/lei connesse, in particolare le circostanze e le responsabilità relative al loro caso di abuso, con la dovuta attenzione alle leggi e ai requisiti concernenti la protezione dei dati».
«Vengono proposti, quali esempi – prosegue il testo – alla considerazione e allo studio da parte delle istituzioni competenti della Curia Romana un Procuratore per la parte lesa e un ruolo paragonabile alla funzione di un Ombudsman». Infine si afferma il bisogno di sviluppare «una definizione più uniforme di vulnerabilità e per coadiuvare tale ricerca dovrebbe essere condivisa l’esperienza acquisita attraverso l’esercizio delle funzioni giudiziarie con un livello di dettaglio sufficiente a promuovere esiti giuridici coerenti e uniformi in tutte le aree del mondo».
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