No, Giancarlo Giorgetti non è impazzito a tirar fuori il tema delle accise sul gasolio. E non dovremo stupirci se presto si tornerà a discutere delle tasse che si pagano sui consumi di gas, dei canoni per l’estrazione di petrolio o dalle cave dell’Amiata.

Perché in un paese con un debito pubblico mostruoso e che fa fatica a garantire pronto soccorso decenti e asili nido per i bambini è assurdo che la torta della finanza ambientale possa rimanere fuori dal confronto politico. In primo luogo, perché è grande – nell’ordine delle diverse decine di miliardi di euro all’anno – poi perché contorta e opaca, cresciuta tra interventi scoordinati e contraddittori.

Guardarci dentro permetterebbe non solo di rivedere diverse scelte sbagliate e oramai datate, ma soprattutto di poter disporre di una leva indispensabile per orientare i comportamenti e spingere gli investimenti delle imprese e delle famiglie nelle direzioni che più sono utili a ridurre la spesa energetica e al contempo l’inquinamento delle città, a spingere innovazioni industriali e investimenti virtuosi.

Far quadrare i conti

Il problema è che argomenti così complessi non possono essere affrontati all’ultimo momento, per recuperare qualcosa e far quadrare i conti in legge di Bilancio. E non dovrebbe essere il ministro dell’Economia a tirarli fuori. Perché sono materie complesse, con ricadute economiche e sociali troppo importanti per improvvisare e cercare di corsa un compromesso o rinviare il tutto.

Servono verifiche e valutazioni di impatto, tempo per il confronto con gli attori e tra i ministeri, che in teoria non mancherebbe a un governo con una solida maggioranza e una legislatura di fronte. Per questo stupisce che alla terza legge di Bilancio del governo Meloni ancora sia aperta la questione degli incentivi per la riqualificazione edilizia, che sia ancora tutto da scrivere il post Superbonus dopo anni di polemiche e forti prese di posizione da parte della presidente del Consiglio contro quella che ha definito «la più grande truffa ai danni dello stato».

La battaglia sui Sad

Bisogna occuparsi di questi temi innanzitutto perché è giusto farlo. Il sistema attuale premia chi inquina di più e alcuni gruppi che pagano tasse incredibilmente basse sfruttando risorse naturali e beni pubblici. Il lavoro fatto in questi anni sui Sad, i sussidi ambientalmente dannosi, è solo la prima parte dell’opera, quella tecnica, che ha permesso di mettere sul tavolo i numeri.

Ma qui la politica si è fermata, con governi che nella scorsa legislatura riconoscevano la questione ma hanno rinviato le decisioni e quello attuale che fa della battaglia politica contro la transizione ecologica la sua bandiera elettorale, ma poi è costretto con il ministro dell’Economia della Lega a proporre un intervento di eliminazione di uno dei Sad più controversi.

Non è semplice affrontare decisioni di questo tipo che aprono conflitti con lobby agguerrite a difesa dei propri interessi. Il punto è che bisogna arrivare preparati ad affrontare questi passaggi politici, occorre spiegare bene le ragioni e quali benefici potranno venire. Ascoltare tutti ma poi decidere.

Oltretutto, sia per la maggioranza sia per l’opposizione sarebbe un modo per dimostrare che si hanno le idee chiare sulla direzione di rilancio che si vuole far intraprendere al paese, quali investimenti si vogliono spingere, quali scelte premiare. Perché consente di parlare di filiere territoriali che vanno dall’industria all’agricoltura, di riduzione della spesa energetica attraverso l’autoproduzione da energie pulite, di lavoro e nuove imprese che possono nascere con una maggiore trasparenza e efficacia fiscale.

Principi liberali, che una parte politica può declinare in salsa più sovranista e l’altra con l’obiettivo di affrontare assieme questione sociale e transizione ecologica.

L’accisa sul gasolio

Di cosa stiamo parlando? Per l’accisa in vigore sul gasolio non ci sono dubbi tecnici, oggi è ingiustamente più bassa rispetto alla benzina se si considerano emissioni e inquinamento. Da qui la proposta di rivederla e il caos per i tempi e i modi di affrontarla da parte di Giorgetti, che hanno portato a un rinvio.

Farebbe bene il governo a tornarci sopra, ma sarebbe giusto farlo in modo graduale dandosi un orizzonte di due-tre anni per la piena applicazione. Perché a guidare le scelte non deve essere solo l’esigenza di fare cassa, ma anche l’obiettivo di aprire una prospettiva di cambiamento comprensibile.

Ad esempio, aprendo un tavolo con l’autotrasporto che beneficia di sconti sull’accisa per tutti, senza distinzioni tra chi investe e chi non fa nulla per ridurre consumi e emissioni. E poi indirizzare una quota delle nuove entrate per il trasporto pubblico locale, in modo da dare un’alternativa a chi è costretto a usare l’auto.

Stesso ragionamento vale per le tasse sui consumi di gas e di elettricità, che sono uguali, quando il prima produce inquinamento locale e il secondo è molto più efficiente. Forse l’esempio più incredibile è quello di chi estrae acqua minerale, perfino in questo momento in una Sicilia devastata dalla siccità. La media di quanto si paga in Italia è 0,002 euro per litro imbottigliato. Qualcuno può lamentarsi davvero per un aumento e magari una limitazione delle estrazioni nelle zone dove l’acqua manca per settimane nelle case?

Forse si dovrebbe puntare a far capire gli investimenti che potrebbero sbloccarsi con una diversa fiscalità ambientale, discutere delle opportunità che potrebbero aprirsi per tanti settori oggi fermi, per uscire da una situazione di penosa debolezza della politica rispetto ai gruppi di interesse organizzati.

Oggi di questi temi non si può parlare per la paura delle reazioni. Pensiamo alle due categorie di cui tanto si è discusso in questi mesi. Grazie all’Europa, si passerà finalmente alle gare per l’assegnazione delle concessioni balneari. Ma il paradosso è che non si metterà mano ai canoni, malgrado sia evidente a tutti, e ammesso perfino da Flavio Briatore, che siano vergognosamente bassi.

Ma niente, non vanno toccati nemmeno nei comuni dove si rivendono a colpi di milioni di euro. Stessa cosa per i taxi. Ma perché questa categoria deve essere esente dall’Iva, quando si paga persino sui biglietti dell’autobus? È evidente che senza Iva e con tassametri non connessi con l’Agenzia delle entrate l’evasione fiscale sia enorme.

Ma oggi non ci sono più scuse, come si fa a dire che non ci sono le risorse per le liste d’attesa, gli autobus, gli asili quando si consentono situazioni di questo tipo. Quanto scritto da Mario Draghi sulla scossa di cui ha bisogno l’Europa per rilanciarsi vale a maggior ragione per l’Italia, se si vuole cambiare la rotta verso un inarrestabile declino.

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