Il paese è all’incrocio tra una tremenda crisi umanitaria e un’estrema vulnerabilità climatica. Da due anni a rischio pure le informazioni meteo: progettarle è stato difficile, ma fondamentale
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La corsa internazionale per salvare i servizi meteo del Sudan è una delle storie che si intrecciano alla crisi umanitaria più grave e dimenticata al mondo. I due anni di guerra civile hanno un esito ancora incerto, nonostante le forze Saf (Sudanese Armed Forces) abbiano ripreso Karthoum. Nel frattempo, però, dodici milioni di sfollati non hanno solo dovuto affrontare una crisi alimentare e una crisi sanitaria nel pieno di combattimenti incessanti, ma anche due stagioni delle piogge in un clima impazzito.
Quella del 2023 è stata clemente, ma quella del 2024 è stata una catastrofe climatica dentro la catastrofe umanitaria, aveva causato decine di morti, distrutto 12mila case, devastato 80mila ettari di campi coltivati in un paese sull’orlo della carestia e ha anche contributo al collasso della diga di Arbaat, vicino alla costa del mar Rosso, con 148 morti e una dinamica simile al disastro di Derna in Libia: collasso climatico che amplifica un collasso infrastrutturale e alla fine l’acqua si abbatte su una comunità inerme.
La prossima stagione delle piogge inizierà a luglio, durerà tutta l’estate fino a esaurirsi all’inizio dell’autunno. Le previsioni stagionali arriveranno alla fine di maggio, ma i climatologi parlano già di livelli di precipitazioni attese superiori al normale. L’aumento delle frequenza e dell’intensità delle piogge rischia di essere una mazzata per un paese dove ogni cosa va ricostruita: oggi a Karthoum il principale impegno della Protezione civile locale è liberare le strade dai cadaveri della guerra.
Il conflitto
La guerra civile in Sudan è scoppiata nell’aprile del 2023, in pieno Ramadan: in quel momento l’agenzia meteo sudanese aveva smesso di funzionare, i server sono collassati perché si trovavano nell’aeroporto, una delle prime infrastrutture a crollare, ed è iniziata la diaspora dei meteorologi e degli esperti di clima, tra Kenya, Egitto, Uganda ed Etiopia. Non era un problema da poco: il Sudan è considerato uno dei paesi più climaticamente vulnerabili al mondo, per la combinazione di siccità (soprattutto nell’area del Darfur) e alluvioni (Gedaref e Nilo Bianco).
Sawsan Omer è un’ingegnera di formazione che aveva sposato la causa dell’adattamento climatico del suo paese, dopo aver visto la regione di provenienza della sua famiglia devastata dagli allagamenti. Era stata appena assunta per il progetto a finanziamento italiano di creazione di un centro di allerta meteo, ma in quei giorni di aprile la sua vita di giovane donna con una grande missione è stata stravolta, come quella di tutti i suoi concittadini.
Insieme alla sua famiglia, è scappata da Karthoum, si è trovata a essere sfollata e mentre passava da un rifugio precario all’altro pensava soltanto una cosa: entro pochi mesi su quelle carovane di persone in auto e a piedi in fuga dalla guerra sarebbe arrivata anche la pioggia, e non c’era più un’agenzia meteo ad avvisare nessuno.
Non era l’unica a guardare il cielo con preoccupazione. Da allora tutti i partner di questo progetto di cooperazione sono passati in modalità emergenza: già nel 2023 grazie al supporto tecnico di Fondazione Cima è stato prodotto un bollettino automatico, una misura tampone che traduceva le informazioni dei satelliti in avvisi per la popolazione.
Un faro sul clima
Ma senza la conoscenza del territorio e persone in grado di unire i puntini tra crisi umanitaria, movimenti di profughi ed eventi estremi, quel bollettino era depotenziato. Era come guidare di notte al buio a fari spenti. Il 2023 è stato clemente dal punto di vista delle piogge ma se c’è una cosa che i climatologi sanno è che a una stagione facile ne seguirà una difficile.
Il lavoro del 2024 è stato rimettere insieme la squadra dei climatologi sudanesi, lungo un asse digitale che collega Savona, Nairobi, Cairo, Addis Abeba, che arriva fino al computer di Sawsan Omer, che da luglio dello scorso anno manda bollettini aggiornati sulle precipitazioni e la siccità, in arabo e inglese, alle 120 organizzazioni non governative che lavorano sul territorio. A volte un preavviso di pochi giorni o poche ore permette di prepararsi e salva vite: le decine di morti per le alluvioni del 2024 potevano essere molte di più senza queste allerte.
Il lavoro del 2025 è stato ancora più ambizioso: a febbraio è stata inaugurata la sala meteo di Port Sudan, la seconda città del paese. È un centro meteo che funge da hub per le informazioni sulle precipitazioni e la siccità. C’è una chat Whatsapp che in questi giorni è stata piena di auguri per la fine del Ramadan e che ogni mattina si riempie degli input dei meteorologi che vegliano sul Sudan da quattro sale controllo diverse nel mondo. Quegli input a fine giornata diventano un bollettino che accende un faro sul clima durante la guerra.
Il lavoro dell’Aics
Questo risultato non sarebbe stato possibile senza il contributo dell’Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo, che ha aperto in Sudan nel 2006 e che non ha mai smesso di essere operativa, nemmeno quando è scoppiata la guerra civile. Come spiega Michele Morana, direttore della sede di Aics in Sudan (che ora gestisce da Addis Abeba) «Decidere di non lasciare il paese al suo destino è stata in realtà una non scelta per noi, non abbiamo mai preso in considerazione di interrompere le nostre attività, anche quando è scoppiata la guerra. Abbiamo messo in sicurezza il personale dei nostri uffici, poi abbiamo rimodellato i nostri interventi, da sviluppo a resilienza».
Il logo della cooperazione italiana, insieme a quello di Fondazione Cima, è fuori dalla sala controllo della situation room di Port Sudan. Come spiega Sawsan Omer, queste sale possono solo sembrare uffici tecnici pieni di computer, mappe e schermi, ma sono posti che salvano vite, e salvano vite di persone che stanno già provando a resistere a una terrificante catastrofe umanitaria.
È per questo che l’adattamento climatico è rimasto in cima alle priorità, anche quando la guerra sembrava averne altre. Morana: «Il clima unisce tutti i livelli di azione. Rafforzare il sistema di allerta meteo per eventi climatici estremi era fondamentale per supportare la popolazione che si è trovata a migrare a causa del conflitto e ha permesso di programmare le attività agricole. Il Sudan è un paese ricco di risorse e di capacità, Il modello di lavoro applicato negli anni più difficili in Sudan può essere un caso di studio per paesi in situazioni simili».
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