Un libro spiega “l’economia delle migrazioni” nel nostro paese. Nel 2022 il valore aggiunto prodotto dalla popolazione straniera residente in Italia è stato stimato in 154,3 miliardi, con gettito contributivo pari a 19,6 miliardi e gettito Irpef pari a 9,6 miliardi. Anche qualora si raddoppiasse la stima dei costi del 2018 saremmo ancora sotto il solo gettito Irpef. Per non parlare del contributo che i migranti danno al pagamento delle pensioni e al Pil
L’ostilità nei confronti degli immigrati fa vincere le destre, in Europa come negli Stati Uniti. Sul tema la sinistra è in imbarazzo, divisa tra chi riafferma il disarmato principio dell’accoglienza e chi cede (come i socialdemocratici danesi) alla tentazione di rincorrere le destre nei loro propositi di “difesa dei confini nazionali” dalle “invasioni barbariche”.
Tuttavia, sembra proprio difficile parlare di “invasione”, in particolare in Italia. Basti pensare che i richiedenti asilo sono, nel nostro paese, appena lo 0,13 per cento della popolazione residente, contro lo 0,26 per cento in Germania, lo 0,24 in Spagna, lo 0,20 in Francia.
E, comunque, il flusso dei migranti richiedenti asilo è, salvo episodi come l’invasione dell’Ucraina o la guerra in Siria, grosso modo inversamente correlato alla progressiva restrizione dei canali per l’immigrazione per motivi di lavoro.
Quest’ultima è crollata a partire dal 2009 (quando era il 64 per cento del totale, fino al minimo del 10 per cento nel 2020); c’è poi stata una lieve ripresa nel 2021-22 (è arrivata circa al 21 per cento). Il governo Meloni non è riuscito a frenare gli sbarchi e, quindi, l’ingresso di irregolari in Italia, che hanno raggiunto nel 2023 un picco (160.000 sbarcati) molto vicino a quello del 2016.
Forse per questo la presidente del Consiglio non ha rivendicato la politica dell’immigrazione tra i suoi successi nel discorso autocelebrativo pronunciato nel secondo anniversario della sua ascesa al potere. Ricorrenza, peraltro, caduta proprio nei giorni del pasticciaccio brutto delle deportazioni in Albania e ritorno.
Il caso italiano
Una riflessione razionale su questi temi è contenuta in L’economia delle migrazioni. Il caso italiano (Carocci, 2024) scritto a quattro mani da una giovane ricercatrice (Giorgia Marini) e da un riconosciuto maestro dell’economia (Giorgio Rodano). Si dice che gli immigrati costino moltissimo. In realtà, ci dicono Marini e Rodano, nel 2018 la spesa complessiva era stimata dal ministero dell’Economia in 4,6 miliardi: 68,4 per cento per i costi dell’accoglienza pura, 19 per cento per soccorsi in mare e solo 12,7 per cento per assistenza sanitaria e istruzione.
Nel 2022 il valore aggiunto prodotto dalla popolazione straniera residente in Italia è stato stimato in 154,3 miliardi, con gettito contributivo pari a 19,6 miliardi e gettito Irpef pari a 9,6 miliardi nel 2022. Anche qualora si raddoppiasse la stima dei costi del 2018 saremmo ancora sotto il solo gettito Irpef.
Per non parlare del contributo che i migranti danno al pagamento delle pensioni degli italiani, mentre migranti e nativi non concorrono per gli stessi lavori e, quindi, è falso che i migranti ci portano via il lavoro.
Gli immigrati contribuiscono alla crescita del Pil. Marini e Rodano stimano che, senza gli immigrati, il Pil italiano nel 2014 sarebbe risultato di 15 punti percentuali più basso di quello che è effettivamente stato. Con un esercizio di proiezione dal 2017 al 2030, basata su ipotesi estremamente prudenti, Marini e Rodano stimano che il tasso di crescita del Pil reale potenziale italiano, con saldi migratori nulli, non supererebbe l’1 per cento annuo. Con i flussi migratori previsti dall’Istat (2,8 milioni dal 2017 al 2030), il Pil potenziale crescerebbe dell’1,2 per cento all’anno. Per arrivare a un tasso di crescita obiettivo del 2 per cento ci vorrebbero altri 2,5 milioni di immigrati nel periodo considerato.
Un sogno da realizzare
Limitazioni sempre più stringenti e respingimenti possono rallentare i flussi di immigrazione nel breve periodo. Ma, alla lunga, gli argini cederanno e avremo, nel frattempo, danneggiato i migranti e anche noi stessi e le nostre imprese.
Meglio dunque – ci dicono Marini e Rodano – fare concorrenza agli scafisti con servizi regolari e regolamentati per un numero di migranti coerente con i nostri veri fabbisogni. Si otterrebbe un risparmio di tempo e denaro e maggiore sicurezza per i migranti, un risparmio per la Marina italiana impegnata in operazioni di pattugliamento e per tutte le ong impegnate nel salvataggio in mare.
Il razionamento dei flussi avverrebbe sia manovrando il prezzo (purché più basso di quello degli scafisti e non ci vuole molto), sia istituendo un sistema di prenotazione e file d’attesa presso consolati e ambasciate nei paesi di partenza.
Si potrebbe offrire non solo il viaggio ma anche pacchetti comprensivi di corsi di lingua, corsi professionali e educazione civica e istituzionale italiana, da tenersi in strutture residenziali adeguate e non in campi profughi degradati e degradanti. Al termine, per chi supera l’esame, un attestato che sostituisce il permesso di soggiorno, eliminando in un colpo una grande quantità di pratiche burocratiche costose per l’amministrazione italiana e fonte di incertezza e ansia per i migranti.
Si tratta di un sogno? Forse. Ma un sogno cui varrebbe la pena di lavorare sul serio. Molto meglio che far del male ai migranti facendo male anche a noi stessi.
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