Versilia, Portofino, Romagna, i numeri del grande business dei balneari. Coinvolti imprenditori vip e aziende famigliari. Il rischio evasione fiscale
Al Papeete di Milano Marittima si sciopera, ma con moderazione. Una serrata simbolica, giusto un paio d’ore di prima mattina, come centinaia di altri stabilimenti balneari che ieri hanno deciso di chiudere gli ombrelloni.
È una protesta a costo zero, una serrata che non fa male al bilancio. Neppure a quello di Massimo Casanova, l’imprenditore “bagnino” (definizione sua) che cinque anni fa balzò agli onori delle cronache per la sua amicizia con Matteo Salvini.
Mr Papeete
Sbarcato a Bruxelles nel 2019 con la casacca da europarlamentare leghista, quest’anno mister Papeete non è stato ricandidato, ma non ha smesso di battersi contro la mai applicata direttiva comunitaria, la Bolkestein, che impone di mettere a gara le concessioni balneari. Semmai il governo di Giorgia Meloni decidesse finalmente di mettersi in regola, dopo due decenni di rinvii decisi dagli esecutivi precedenti, per Casanova sarebbe un bel problema. Dovrebbe attrezzarsi (e investire denaro) per non ammainare la bandiera del Papeete in uno degli arenili più popolari d’Italia, pagando un canone di gran lunga superiore alla modica somma che ha fin qui versato allo Stato.
Nel 2024 l’azienda controllata dall’amico bagnino di Salvini se la caverà con 5.844,52 euro. La concessione per uso “turistico ricreativo” risale al 2008 e scadrà nel 2033. Non sorprende, allora, che Casanova faccia le barricate contro la concorrenza. Basta dare un’occhiata ai bilanci delle sue aziende.
Titolare della concessione è la Papeete Beach srl, che a sua volta ha ceduto in affitto tutte le attività di gestione dell’arenile alla Papeete srl. La prima società, quella che paga il canone, guadagna 100mila euro l’anno su 205mila euro di ricavi. Papeete srl, che si occupa del servizio spiaggia e delle molteplici attività collegate (bar, ristorazione, eccetera), ha dichiarato un giro d’affari di 3,5 milioni nel 2023. Questo significa che Casanova versa allo Stato un canone, 5.844 euro, che vale lo 0,16 per cento dei ricavi del suo stabilimento. Un affarone, per lui. Un po’ meno per la collettività.
Tenore e bagnino
Il caso Papeete non è certo un’eccezione. Se per esempio ci si sposta dalla Riviera romagnola alla più raffinata Portofino si scopre che ai Bagni Fiore viene richiesto un canone annuale di 7.289,94 euro. In compenso cabine e lettini sono decorati da Dior e per un ombrellone la spesa minima è di 200 euro al giorno.
La società che gestisce questo angolo di spiaggia frequentata da veri e presunti vip si chiama Bagni Fiore srl e ha chiuso il 2022, anno dell’ultimo bilancio disponibile, con 231mila euro di utile su 490mila euro di ricavi. L’azionista di controllo è l’imprenditore milanese Enrico Buonocore, a cui fanno capo numerose altre attività nel settore turismo e della ristorazione con il marchio Langosteria. Dall’eleganza di Portofino al lusso di Forte dei Marmi. Quello del Twiga, ma non solo.
A poca distanza dalla spiaggia targata Flavio Briatore, anche il famoso tenore Andrea Bocelli possiede uno stabilimento balneare, l’Alpemare beach, che offre, si legge nel sito, “un servizio discreto, sistemazioni lussuose in spiaggia ed esperienze culinarie eccezionali”. Nel 2023, la società della famiglia Bocelli, l’Alpemare Beach srl, ha incassato 3,6 milioni, il 30 per cento in più rispetto all’anno prima, versando allo Stato 5.869,51 euro come canone, sceso a 5.844,52 euro per il 2024.
Briatore invece, azionista del Twiga insieme a Dimitri Kunz, il compagno della ministra Daniela Santanchè, paga 22.905,65 euro per la sua concessione. Una somma quasi quattro volte superiore a quella a carico dell’Alpemare di Bocelli. Spiccioli, comunque, se si considera che il Twiga nel 2023 ha chiuso i conti con ricavi per 9,7 milioni (più 15 per cento sul 2022) con 460mila euro di utile netto. Somme milionarie per uno stabilimento balneare che è diventato il “locale di riferimento per la clientela alto spendente (sic!) presente in Versilia”, come si legge nella relazione di bilancio del Twiga.
Altrove il giro d’affari cala, ma i canoni restano irrisori. Facciamo qualche esempio: a Cervia, il bagno Paparazzi beach versa 6.521 euro, a Riccione i Bagni Monica se la cavano con 6.679 euro, ad Alassio, nel Ponente Ligure, i Bagni Gallo non superano i 3.225 euro, mentre a Roseto degli Abruzzi c’è lo stabilimento Bolla Mare, che per il 2024 paga 12.896 euro.
Il caso Jesolo
Se davvero il governo dovesse cedere di fronte alle pressioni dell’Europa e uniformarsi a quanto previsto dalla direttiva Bolkestein, questi canoni sono destinati ad aumentare di molto, obbligando gli imprenditori balneari a investimenti rilevanti. Un’anticipazione di quanto potrebbe accadere è andata in scena a Jesolo, in Veneto, dove il Comune ha messo a gara le concessioni scadute alla fine del 2023.
Ad aggiudicarsi un lotto è stata una cordata guidata da Mario Moretti Polegato, l’imprenditore a capo del gruppo Geox, che ha promesso investimenti per 7 milioni di euro. Jesolo però fa storia a sé. Per la quasi totalità dei balneari vale il “business as usual”.
La Corte dei Conti stima che le concessioni rendano allo Stato non più di 100 milioni l’anno, versati da 7.200 imprese (stima Unioncamere) per due terzi gestite da società di persone, piccole aziende a conduzione famigliare che spesso hanno un rapporto, diciamo così, piuttosto travagliato con il fisco.
Questo almeno è quanto emerge dalle statistiche ufficiali, quelle relative all’Indice di affidabilità fiscale, in sigla Isa. Il 60 per cento circa dei balneari non va oltre un Isa di 8, il livello minimo per essere considerati affidabili. Come dire che il rischio evasione è molto elevato.
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