È una mappa scarna, quella che cerca di ricostruire il numero di medici a cui rivolgersi in Italia per accedere all’interruzione di gravidanza. Così com’è spoglia quella che individua le strutture in cui è possibile ricorrere all’aborto farmacologico, nonostante l’Organizzazione mondiale della sanità lo consideri un metodo «sicuro ed efficace». 

Sono infatti sempre più numerosi i modi, via via legittimati e promossi dal governo e dalle amministrazioni regionali, per impedire l’autodeterminazione delle donne: dissuase dalla scelta di abortire, costrette a percorrere chilometri prima di riuscire a farlo, o peggio obbligate ad ascoltare prima il battito del feto o a vedere l’immagine dell’ecografia.

I limiti della legge 194

La legge garantisce l’aborto entro i primi 90 giorni. Oltre questo termine, è possibile solo l’“aborto terapeutico”, nel caso di «grave pericolo per la vita della donna» o di anomalie o malformazioni del nascituro. 

È stata la legge 194 a depenalizzare l’aborto nel 1978 e, di conseguenza, ad averlo reso legale e sicuro. Frutto delle lotte dei movimenti femministi, la 194 è però un compromesso, il risultato di un lungo iter parlamentare. Non ha esplicitamente sancito il diritto all’aborto, né ha garantito l’autodeterminazione della donna. Anzi. Ha fornito uno strumento per limitarne la portata: l’obiezione di coscienza. Ma ogni struttura sanitaria avrebbe il dovere di assicurare comunque gli interventi di ivg e spetta alla regione controllarne e garantirne l’attuazione «anche attraverso la mobilità del personale». 

Quarantasei anni dopo, queste garanzie rimangono solo sulla carta e, in base agli ultimi dati disponibili, in Italia i ginecologi obiettori sono il 63,4 per cento, gli anestesisti il 40,5 per cento, e il personale non medico il 32,8 per cento. Significa che quasi sette medici su dieci non praticano l’ivg.

I dati ministeriali non consentono però di inquadrare correttamente il fenomeno. Perché se è vero che rimane un margine di medici non obiettori a cui rivolgersi, questo non accade in tutte le regioni e le strutture. E, quindi, per molte donne è complicato abortire. Per avere un quadro chiaro bisogna ricorrere ai movimenti della società civile che si sono auto organizzati per difendere, ancora una volta, la libertà di scelta delle donne.

Partire dai dati

L’ultima relazione del ministero della Salute al parlamento, sull’applicazione della 194, risale al 2022 e contiene i dati del 2021, chiusi e aggregati. Già dai dati ministeriali emerge che in Abruzzo gli obiettori sono quasi 9 su 10, così come in Sicilia; in Campania, Puglia e Basilicata quasi 8 su 10. Ma, «solo se i dati sono aperti, hanno davvero un significato e permettono alle donne di scegliere in quale ospedale andare», scrivevono le autrici della ricerca “Mai Dati”, Chiara Lalli e Sonia Montegiove, che hanno ottenuto le informazioni tramite le richieste di accesso civico. 

In base alla loro inchiesta, aggiornata al 2021, 72 ospedali hanno tra l’80 e il 100 per cento di obiettori. Ventidue ospedali e quattro consultori registrano poi il 100 per cento di obiezione tra medici ginecologi, anestesisti, infermieri e operatori sociosanitari.

«Gli aborti sono pochi»

L’aborto è in continuo calo, dal 1982, quando si registrò il picco di 235mila ivg. In 40 anni, secondo la relazione, gli aborti sono diminuiti del 72,9 per cento. Numeri usati dalla ministra della Famiglia Eugenia Roccella, in un intervento a SkyTg24 lo scorso marzo, per sostenere che «sono sufficienti i medici che ci sono», perché «il carico di lavoro per i medici non obiettori è di un aborto a settimana». E ha aggiunto: «Gli aborti sono pochi perché sono poche le gravidanze» (al tema abbiamo dedicato un’inchiesta a puntate, sostenuta da voi lettori).

Il dato, secondo il collettivo Obiezione respinta, è «parziale e inesatto» perché è «estremamente variabile» e in alcune regioni raggiunge anche «picchi massimi pari a circa dieci aborti per medico non obiettore». In Sicilia, ad esempio, un medico arriva a praticare 13,4 ivg settimanali, 11,8 in Abruzzo e 10,4 in Campania.

Ma c’è di più. «Nonostante la progressiva diminuzione delle ivg», sottolinea il libro curato da Ilaria Boiano e Caterina Botti “Dai nostri corpi sotto attacco”, è «enorme il numero di aborti praticati al di fuori delle procedure della 194, spesso per gli ostacoli incontrati»: scarsità dei consultori, obiezione di coscienza, colloqui gestiti dalle associazioni cosiddette provita. Sono quindi diverse le regioni, tutte governate dalla destra dove l’aborto è nei fatti limitato, con gravi conseguenze psicologiche e un aumento dei rischi associati alla pratica. 

Marche

Nelle regione guidata da Fratelli d’Italia, i dati ministeriali registrano il 71 per cento di medici obiettori, ma in diverse strutture l’obiezione investe la totalità dei ginecologi. Nel polo ospedaliero di Jesi, nel 2021, su dieci medici, dieci erano obiettori, così nell’ospedale di Fermo, in obiezione di struttura dal 1978. A questo si aggiungono due elementi: i limiti all’aborto farmacologico, la pillola Ru486, e la presenza di associazioni antiabortiste nei consultori. Da un lato, si limita un metodo sicuro, poco invasivo, che mira a superare l’ospedalizzazione.

Nelle Marche infatti è praticato fino alla settima settimana (in Italia è possibile fino alla nona e le linee guida internazionali lo prevedono fino alla dodicesima), solo nel 20,7 per cento dei casi, a fronte di una media nazionale del 47,3. Dall’altro, di fronte a un’interpellanza del Pd in Consiglio regionale, l’assessore di centrodestra alla Salute, Filippo Saltamartini, ha risposto rivendicando la volontà di aprire i consultori alle associazioni antiabortiste. 

Sicilia

In Sicilia l’85 per cento dei ginecologi, segnala il ministero, è obiettore. Ma in 26 strutture dell’isola di raggiunge il 100 per cento, evidenzia il rapporto di Medici del mondo “Aborto farmacologico in Italia”. Da questo studio emerge poi che a Catania l’ivg farmacologica non è disponibile in nessun ospedale, mentre a Messina solo in una struttura nell’intera provincia.

Nel 2021, la Ru486 era stata somministrata solo nel 23,4 per cento dei casi. L’isola si è poi distinta, nella ricerca di Lalli e Mongiove, per non aver fornito i dati: nonostante i solleciti, solo una delle 9 Asl ha fornito informazioni.

Sardegna

Nell’isola la percentuale di obiettori è leggermente inferiore alla media nazionale, il 59,2 per cento, ma è elevato il numero di anestesisti obiettori, il 49,7 contro il dato nazionale del 40,5. Così come la Sicilia, anche la Sardegna si è resa inadempiente verso le richieste inviate per il report “Mai Dati”. Solo 3 aziende sanitarie su 11 hanno risposto. E l’aborto farmacologico, nel 2021, era al 25,3 per cento. 

In una lettera inviata alla presidente della regione Alessandra Todde, una ragazza ha poi denunciato – riporta Obiezione respinta –  che le ivg «vengono ricevute nelle sale d’attesa dove sono presenti i neonati e le loro famiglie» e nel caso specifico è stata fatta abortire nella sala «alla loro presenza».

Molise

Il 77,8 per cento dei ginecologi nel 2021 era obiettore. Ma la regione, all’inizio del 2022, è stata al centro dell’attenzione quando uno dei due medici non obiettori è andato in pensione, dopo aver rinviato due volte per la difficoltà a trovare un sostituto.

Saverio Flocco, primario di ginecologia dell’unico ospedale della regione dove si eseguono le ivg, a Campobasso, ha però assicurato ai media locali che c’è almeno un’altra ginecologa e che la direzione sanitaria – ha detto a Presa Diretta – si è attivata per assumere ginecologi non obiettori. 

Piemonte

Definito il laboratorio antiabortista della destra italiana, la regione guidata da Alberto Cirio di Forza Italia ha stanziato nel 2022 un fondo per la vita nascente, gestito da associazioni antiabortiste. Con una percentuale di obiezione tra i medici del 55,5, il Piemonte è tra le regioni in cui c’è almeno una struttura che raggiunge il 100 per cento e tra quelle che fino all’arrivo della destra ricorreva maggiormente – sottolinea il report di Medici del mondo – all’aborto farmacologico. Ma nel 2020 l’amministrazione regionale ha messo un freno alla somministrazione della Ru486 nei consultori e alla deospedalizzazione.

Umbria

La presidente di regione della Lega Donatella Tesei nel 2019 ha firmato da candidata il manifesto valoriale delle associazioni antiabortiste. Un impegno poi concretizzato abrogando una legge regionale che consentiva l’assunzione della Ru486 in day hospital, ripristinando così il ricovero di tre giorni. Quattro anni più tardi, anche l’Umbria ha approvato uno stanziamento per istituire il fondo per la vita nascente con l’obiettivo di prevenire le ivg.

E i movimenti, nel 2024, hanno denunciato un attacco non solo ai consultori ma anche ai centri antiviolenza. Con l’obiezione al 63,9 per cento tra i ginecologi e al 60,8 tra gli anestesisti, la regione supera la media nazionale. “Mai Dati”, aggiornato al 2022, mostra poi come ben due ospedali raggiungano il 100 per cento di medici obiettori: Castiglione del Lago e Gubbio. 

Abruzzo

L’obiezione di coscienza, nella regione, rischia di impedire del tutto l’accesso all’aborto. In base ai dati del 2021, 8,5 ginecologi su 10 infatti sono obiettori, così come 6,5 su 10 anestesisti. Alcuni numeri sembrano però cambiati: nel 2023, secondo le informazioni raccolte da Laiga, hanno attivato il servizio ivg ad Avezzano e a L’Aquila, ma nel capoluogo risulta ora non più attivo. A Teramo, invece, se nel 2021 dalla ricerca Mai Dati risultavano tutti obiettori, ad oggi si praticano l’aborto chirurgico e quello farmacologico entro la nona settimana. 

Dai dati più aggiornati diffusi da Laiga e Collettivo Zona Fucsia risulta quindi che a Pescara e a Teramo oltre l’80 per cento siano obiettori, a Chieti circa il 100 per cento e a L’Aquila circa l’80, e che la pillola Ru486 sia somministrata in soli tre ospedali. Nell’ospedale di Lanciano, inoltre, dal 12 giugno 2024 sarà ripristinato il servizio di ivg sia in forma farmacologica sia chirurgica.

Nonostante le alte percentuali di obiezione, molte donne migrano dalle Marche all’Abruzzo per accedere al servizio. E, così come in Umbria, nella regione guidata dal centrodestra, una circolare ha imposto l’ospedalizzazione per l’interruzione farmacologica.

Valle d’Aosta

Di recente il Centro contro la violenza di Aosta ha lanciato l’allarme dopo le segnalazioni di alcune donne che, richiesto l’accesso all’ivg, sono state sottoposte a pressioni e interferenze di gruppi antiabortisti. L’obiezione di coscienza nella regione è al 25 per cento, di molto inferiore rispetto alla media nazionale.

Lombardia

La Lombardia, dove l’obiezione tra i medici è al 47,2 per cento, si distingue dalle altre regioni per il numero di consultori privati: 86 sul totale nazionale di 144. Oltre il 55 per cento sono “consultori familiari di ispirazione cristiana” che, grazie a una norma regionale, in violazione della 194, ricorrono all’obiezione di struttura, per cui tutto il personale è obiettore. 

Ru486 nei consultori

Sono solo tre le regioni che garantiscono la somministrazione della Ru486 in consultorio: Lazio, Toscana ed Emilia Romagna. Qui l’aborto farmacologico è il metodo prevalente, usato nel 54,6 dei casi nel Lazio e nel 64,9 in Emilia, che, anche secondo “Mai Dati”, rappresenta un esempio virtuoso, avendo fornito quasi tutte le informazioni richieste. Nella regione del centro Italia non ci sono strutture con la totalità di obiettori, che si aggirano in generale attorno al 45 per cento. Sono invece il 53,1 per cento in Toscana e il 69,7 nel Lazio. 

Oltre la 194

La legge del 1978 non garantisce dunque a pieno il diritto all’ivg per tutte le donne, che in almeno il 20 per cento dei casi sono costrette a migrare in un’altra provincia o regione in cerca di personale non obiettore. Per questo, diversi movimenti a tutela dei diritti sessuali e riproduttivi delle donne chiedono una revisione della 194, affinché le destre non sfruttino le falle della legge per impedire di fatto il diritto, che rischia inoltre di essere messo ancor più in discussione dall’autonomia differenziata, che alimenterà il divario regionale. 

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