In Italia la gestione delle persone anziane non autosufficienti si fonda sulle spalle delle famiglie, che siano loro - e in particolare le donne - le persone curanti, o che provvedano loro all’assunzione e al pagamento di badanti. Nel nostro paese infatti questo ruolo è fondamentale, sono loro a gestire il lavoro di cura degli anziani, mentre le strutture specializzate sono spesso assenti.

«Se pensiamo alla cura delle persone anziane, il modello italiano è un unicum: l’alta presenza di “badanti” non ha pari rispetto agli altri paesi europei, e in realtà anche nel mondo», dice Elisabetta Notarnicola, ricercatrice e docente di Practice in Government, Health e Not for Profit presso SDA Bocconi School of Management.

«L’Italia – come altri paesi europei –  ha un modello di welfare familistico: sono i familiari che si prendono cura degli anziani in famiglia e non si deputa questo compito allo stato. Noi diciamo “l’ho messo in casa di riposo”, quasi con un tono dispregiativo».

Se per quanto riguarda il mondo dell'infanzia il modello di welfare si è sviluppato in una duplice direzione, creando servizi e dando sostegni alle famiglie, non è lo stesso nel caso delle persone anziane: «Il governo stanzia assegni di indennità di accompagnamento senza che vengano specificate le condizioni, si danno quindi degli strumenti – e sono ancora pochi – ma non vengono date delle linee guida su come usarli». Come sottolinea la dottoressa Notarnicola, in Italia non c’è mai stata «una politica incisiva sui servizi».

Per non parlare poi della regolamentazione che si cela dietro l’assistenza agli anziani: in un paese che si affida sempre più alle cure delle famiglie, non esiste una legge sui caregiver.

Questo quadro si deve immaginare applicato in un paese la cui età media è sempre più alta. Il numero di persone anziane è infatti in costante aumento, ma non è direttamente proporzionale al numero di giovani. Inoltre, i nuclei famigliari sono più contenuti, e si stanno riducendo: si stima che, in media, una famiglia sia composta da due adulti e un figlio. E la situazione non sarà migliore nei prossimi anni.

Per non parlare dei salari che non crescono da vent’anni. È dunque difficile immaginare un sistema fondato sull’assistenza familiare quando la struttura della famiglia tradizionale sta scomparendo.

Ripensare all’abitare

«Da un lato –  come sottolinea Claudio Falasca, architetto e direttore dell’associazione “Abitare anziani” -  bisognerebbe spostare l’asse sulla domiciliarità, come hanno fatto altri paesi europei come la Francia dove il 70 per cento dell’assistenza viene fornita a domicilio».

Oggi l'80 per cento delle persone anziane vive in una casa di proprietà, motivo per cui, secondo Claudio Falasca e l’Auser (Associazione per l’invecchiamento attivo), è essenziale promuovere il diritto di queste persone a invecchiare nel proprio ambiente domestico. Tuttavia, la situazione diventa critica considerando che almeno 4 milioni di anziani vivono da soli in abitazioni con impianti obsoleti e spesso non conformi alle normative di sicurezza, servizi igienici inadeguati e, in molti casi, senza ascensori.

A questi problemi "interni" si aggiungono le difficoltà esterne: la carenza di una rete di servizi efficienti nel quartiere, come marciapiedi e attraversamenti accessibili, mancanza di servizi di prima necessità (come bagni pubblici e aree di sosta), illuminazione stradale inadeguata, riduzione del commercio locale, inefficienze nei trasporti pubblici, e scarsa presenza di punti di informazione, assistenza e ritrovo. Inoltre, i presidi sanitari e assistenziali sono spesso mal distribuiti e non vi è un’adeguata offerta di cure intermedie.

Secondo Falasca e l’Auser, sebbene spesso i familiari compensino queste mancanze, è necessario che lo stato sviluppi un piano organico per l'invecchiamento. Questo piano dovrebbe prevedere l'aumento dei servizi integrati, l'adattamento degli spazi abitativi (rimozione di dislivelli, allargamento di porte e portoni, installazione di ascensori, adeguamento dei servizi igienici, e aggiornamento degli impianti di riscaldamento e raffreddamento), e l'eliminazione delle principali barriere architettoniche.

Dovrebbero essere promosse soluzioni energetiche rinnovabili per ridurre i costi delle bollette, l'adozione di tecnologie assistive per la casa (come i dispositivi di ambient assisted living), e l’introduzione di tecnologie per la telemedicina, che consentano il monitoraggio dei parametri vitali a distanza. Inoltre, la connessione internet dovrebbe essere garantita per mantenere le relazioni sociali, accedere alle informazioni e ai servizi, e facilitare l'acquisto di beni.

Esempi virtuosi in questo settore esistono già, anche in Italia. Nel 2018 a Mestre è stato inaugurato il primo condominio in Italia con servizio di badanti integrato dove tre operatrici lavorano su tre turni per fornire assistenza agli anziani. Nel condominio vengono utilizzati dispositivi di domotica, come le consolle di controllo remoto di luci, riscaldamento e i pulsanti di attivazione soccorso per facilitare la gestione del quotidiano da parte di una utenza anziana. 

In secondo luogo occorre un piano di sviluppo per le Rsa: «Bisogna renderle luoghi più confortevoli. Ci saranno sempre persone che necessitano di cure 24 ore su 24 e che quindi hanno bisogno di stare in delle strutture. Però bisogna riformarle», conclude Falasca. 

come funziona in Europa

Nel 2023, a un anno dalla fine della pandemia, è emersa a livello globale l'esigenza di sviluppare un piano politico dedicato alle persone anziane. In risposta, l'Unione europea ha lanciato la “Care Strategy”, invitando i paesi membri a raggiungere obiettivi comuni nel settore della cura a lungo termine, con l'obiettivo di renderla accessibile, di qualità – anche per quanto riguarda le condizioni di lavoro – equa e sostenibile.

Questa strategia si rifà alle politiche europee sviluppate tra la fine degli anni '90 e l'inizio degli anni 2000, quando si era compreso che, con l'aumento dell'aspettativa di vita e l'invecchiamento della popolazione, era necessario un piano nazionale e persino sovranazionale per affrontare il fenomeno.

Ogni paese ha sviluppato un proprio modello di assistenza. Nei paesi nordici, come Svezia e Finlandia, è stato adottato un modello di Long Term Care (Ltc) molto solido, integrato nei servizi di welfare e considerato una responsabilità pubblica e collettiva. Qui si privilegia l’assistenza domiciliare, garantendo il diritto agli anziani di invecchiare a casa propria. La spesa pubblica in questi paesi è alta, e ciò si riflette nei punteggi elevati ottenuti nei report sulla qualità della vita e dei servizi per gli anziani: Svezia e Finlandia, per esempio, investono circa il 3,5 per cento del loro Pil in Ltc.

Situazione analoga si trova nei paesi continentali come Francia e Belgio, dove l'assistenza combina una forte spesa pubblica con prestazioni monetarie. Anche qui i sistemi di ltc ottengono valutazioni molto positive.

In Europa centrale, orientale e meridionale prevale il cosiddetto modello selettivo (adottato in paesi come Bulgaria, Grecia, Polonia e Romania). In questo sistema, l'accesso ai servizi pubblici di Ltc, sia monetari che in natura, dipende non solo dalla valutazione dei bisogni assistenziali, ma anche dalla verifica dei mezzi finanziari dell'individuo, a volte includendo le risorse dei parenti stretti.

Esistono poi modelli “misti” –  quello italiano è tra questi – dove l'accesso ai servizi Ltc può essere selettivo o universale a seconda del tipo di prestazione (in denaro o servizi).

Infine vi è il modello “quasi-universalista”, presente in paesi come Spagna e Lettonia: qui l'accesso alle prestazioni si basa solo sui bisogni assistenziali, ma i servizi restano comunque carenti, creando una selettività indiretta.

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