Perù, Iran, Australia, Russia, Senegal e Italia, solo per fare alcuni esempi. Perché sono tanti e tutti diversi i background dei 54 bambini che frequentano Celio Azzurro, centro interculturale dedicato all’infanzia, nel cuore di Roma, a pochi minuti dal Circo Massimo, che funziona come un asilo. Nato all’inizio degli anni Novanta, da un’occupazione guidata dall’attuale presidente Massimo Guidotti, è diventato, prima sotto il cappello della Caritas, poi come cooperativa indipendente, il primo spazio in Italia a utilizzare “l’intercultura”, cioè quell’insieme di attività che favoriscono l’incontro tra le culture, per formare minori tra i tre e i sei anni.

Così tanto preso a modello, che il Edoardo Winspeare ci ha fatto un film: «Per raccontare il lavoro degli insegnanti, intriso di entusiasmo e amore per i bambini, che contrasta con una società sempre più cinica e volgare. Attraverso la loro serietà e la loro leggerezza ho visto che cosa sia la bellezza dell’educazione. La gioia di formare giovani esseri umani», aveva dichiarato il regista per la presentazione del suo Sotto il Celio Azzurro, nel 2010.

Una comunità 

Quell’entusiasmo e la stessa voglia di rendere il mondo migliore sono ancora oggi, dopo oltre 25 anni, la prima caratteristica che, chi vede Daniele Valli, il coordinatore dei maestri, aggirarsi per l’asilo, nota senza incertezza. «Siamo uno spazio di formazione alla democrazia. Uno spazio politico in un momento in cui la politica si sta allontanando dalle persone», spiega Valli mentre una bambina si attacca alla sua felpa per offrirgli la merenda: «Sono tre i principi che fondano il nostro metodo educativo. L’autonomia, perché pensiamo che solo identità strutturate possanoaffrontare l’altro senza paura. La socializzazione, perché l’incontro con gli altri arricchisce. E l’intercultura visto che conoscere l’altro evita i conflitti e serve per crescere».

Il paradigma pedagogico utilizzato a Celio Azzurro è flessibile, costruito sulle esigenze dei bambini, sperimentate nella quotidianità. Non c’è uno schema fisso da seguire ma l’evoluzione del pensiero: «Prendiamo spunti dagli studi del pedagogista Daniele Novara, dal metodo Montessori, da quello steineriano e anche dai programmi ministeriali. Qui abbiamo le risorse e l’energia per metterli in pratica», dice il coordinatore da una stanzetta piena di libri, da cui si vede il verde fuori e si sentono i bambini cantare. «Non esisteva niente prima di noi sull’intercultura nella formazione dei minori. Abbiamo costruito tutto quello che c’è mettendo al centro la comunità educante. I genitori soprattutto. Che vivono Celio Azzurro come fosse il proseguo delle loro case».

Per tre giorni ogni settimana, infatti, i familiari degli iscritti prendono parte alle attività educative. Entrano, a turno, nello spazio colorato che vivacizza salita San Gregorio e passano ore con i bambini per condividere le esperienze della loro infanzia. Così da creare un legame forte non solo con gli allievi ma anche con i maestri: «Per costruire un rapporto di fiducia sano», spiega Silvia Saurini, che insegna a Celio Azzurro da vent’anni, da quando ha fatto il tirocinio dell’università.

Ma a fare comunità con il centro non ci sono solo i genitori. Anche gli ex allievi ne sono parte. Come Fayo, tra le prime bambine a frequentare l’asilo quando ha aperto, oggi parte del team di educatori grazie ai quali il lavoro di formazione procede. «O come gli ex studenti che frequentano i centri estivi fino ai 12-13 anni. E che quando crescono vengono a darci una mano come operatori», chiarisce Saurini mentre passeggia tra gli spazi, dall’ampia sala in cui i bambini costruiscono un razzo per viaggiare nello spazio, fino all’orto, dove manca l’insalata gustata per il pranzo.

I fondi 

«Il problema è che non abbiamo fondi per andare avanti», spiegano sia Saurini, sia Valli con un tono flebile che stona con la gioia attorno: «Sono due mesi che non ci diamo lo stipendio. E per quanto sia l’entusiasmo a guidarci, i soldi servono anche a noi. Se andiamo avanti così saremo costretti a alzare le rette. Ma non vogliamo, contrasterebbe con l’obiettivo di questo posto».

A Celio Azzurro, infatti, ognuno paga quel che può: divisi in scaglioni, le famiglie benestanti versano fino a un massimo di 400 euro al mese. Chi non può permetterselo, invece, non paga. Visto che a caratterizzare i bambini non ci sono solo le provenienze geografiche ma anche i background socio-economici diversi: «Dai residenti del quartiere, di solito facoltosi, ai bambini che arrivano dai centri d’accoglienza. Fino a chi, anche se abita lontano, decide di portare i figli perché crede nel modello educativo», puntualizza Valli che spiega anche come, mentre fino a una decina di anni fa c’erano bandi pubblici per finanziare i centri interculturali, adesso non sia rimasto nulla.

«Perché a guidare le politiche oggi è la logica dell’emergenza. E ci si dimentica del lavoro di chi opera nella normalità», aggiunge il coordinatore che, però, a farsi schiacciare dal peso della precarietà non ci pensa proprio: «Come già successo in passato siamo in difficoltà. Riusciremo a superarla grazie alla comunità che abbiamo accanto. Abbiamo già convocato un’assemblea con i genitori, per capire insieme quale strada seguire».

© Riproduzione riservata