La misura, finanziata su base nazionale ma che le regioni possono integrare con propri finanziamenti (finora lo hanno fatto in quattro), è fondamentale per la fuoriuscita dalla violenza, ma è ancora troppo esigua e spesso arriva in ritardo. Le modalità per accedere e le diverse applicazioni, regione per regione. L’eccezione della Sardegna, l’ostruzionismo delle destre nelle Marche
Il reddito di libertà è riconosciuto alle donne vittime di violenza che si trovano in condizioni di povertà, con o senza figli, seguite dai centri antiviolenza riconosciuti dalle regioni e dai servizi sociali. Si tratta di un intervento che sostiene l’emancipazione economica delle donne che vivono situazioni di violenza, per supportarne la fuoriuscita.
Viene elargito per favorire, attraverso l’indipendenza economica, «percorsi di autonomia e di emancipazione delle donne vittime di violenza in condizione di povertà», attraverso il recupero dell’autonomia abitativa e personale.
Come funziona
La misura, nel 2025, è stata elevata da 400 a 500 euro pro capite mensili, per un massimo di 12 mensilità. Possono chiedere di accedere alla misura donne che hanno subito violenza, con o senza figli, residenti nel territorio italiano, che siano cittadine italiane o comunitarie oppure extracomunitarie in possesso di regolare permesso di soggiorno.
Le donne devono essere prese in carico dai centri antiviolenza riconosciuti dalle regioni e seguite dai servizi sociali nei percorsi di fuoriuscita dalla violenza.
L’iter è il seguente: dopo la presa in carico dei centri antiviolenza, le donne richiedono di attestare il percorso di autonomia intrapreso, da allegare alla domanda per accedere al reddito, unita alla dichiarazione dei servizi sociali comunali sullo stato di bisogno. La misura è compatibile con altri strumenti di sostegno al reddito come l’assegno di inclusione, la nuova misura di sostegno economico, sociale e professionale.
Le regioni
Il reddito di libertà è una misura nazionale che le regioni possono decidere di integrare con i propri finanziamenti. Le regioni che hanno incrementato il budget, finora, sono Emilia-Romagna, Friuli Venezia Giulia e Valle d’Aosta.
A quelle segnalate dalla documentazione Inps 2024, si aggiunge la regione Sardegna, che ancor prima dell’inserimento nella manovra finanziaria aveva previsto il reddito all’interno degli stanziamenti regionali.
La Valle d’Aosta ha stanziato dei finanziamenti regionali – pari a 130mila euro all’anno – per il triennio 2024/2026. La consigliera regionale DiRe (Donne in rete contro la violenza) Anna Ventriglia racconta a Domani: «Senza questi fondi regionali, quelli statali sarebbero stati irrisori: negli anni passati ci venivano elargiti 7-8mila euro: non avremmo potuto coprire nemmeno due donne con 500 euro al mese per 12 mesi».
I finanziamenti all’Inps vengono dunque elargiti dalla regione Valle d’Aosta che poi li trasmette alle donne richiedenti. Il Friuli-Venezia Giulia ha stanziato dei fondi aggiuntivi, spiega Ilaria Buonandi, del centro antiviolenza Voce Donna di Pordenone: «Se con le risorse nazionali per il 2024 del reddito di libertà avremmo potuto coprire solo 33 donne, con i finanziamenti della regione altre 41 donne possono accedere alla misura».
I fondi regionali «ammontano a 250mila euro per il 2024 mentre dallo stato sono stati stanziati 199.845 euro». Il centro antiviolenza ha calcolato che copriranno il reddito di sole 74 donne su tutto il Friuli-Venezia Giulia. Non sono molte: «È un numero limitato rispetto al territorio locale e regionale. Solo a Pordenone abbiamo avuto 357 donne accolte nel centro antiviolenza». Se non ci fossero i finanziamenti regionali «solo 33 donne riceverebbero il sostegno». Il reddito erogato dalla regione ha lo stesso importo di quello nazionale: 500 euro al mese per un massimo di 12 mesi.
La regione Emilia-Romagna, nel 2024, ha stanziato tre milioni di euro per integrare le risorse nazionali. Misura che verrà ripetuta anche per il 2025, racconta Laica Montanari, consigliera regionale DiRe: «Ci sarà un incontro con la regione il primo aprile e forse, in quell’occasione, la regione ci farà sapere qualcosa in più per l’anno in corso».
Ciò che è certo è che la durata e la somma elargita saranno uguali alla misura nazionale. I dati Inps sulle domande di reddito di libertà, accolte o meno, «sono molto parziali», afferma Montanari. «Mancano i dati relativi al numero complessivo delle domande presentate, non sappiamo nemmeno con quale motivazione non siano state accolte quelle rigettate. Mancanza di fondi? Irregolarità nella presentazione? Mancanza di requisiti?», prosegue.
Montanari racconta che hanno da poco istituito un gruppo di lavoro, insieme ad altre associazioni di Bologna, «per cercare e lavorare su questi dati, rivolgendoci direttamente all’Inps e, se sarà necessario, coinvolgendo la regione».
La Sardegna
La Sardegna è un caso a parte rispetto al resto d’Italia: ha istituito il reddito di libertà con la legge regionale 33 del 2018. Da quel che risulta a Domani è la regione con il tetto più alto di reddito erogato: nel caso di una donna sola, è stabilito nella misura fissa di 811 euro.
Per una donna con figli minori, invece, l’ammontare minimo del sussidio è determinato dall’applicazione della formula Istat, che calcola la soglia di povertà assoluta, tenendo conto, per la sua determinazione, del luogo di residenza o di domicilio della donna.
Il sussidio, inoltre, aumenta di 100 euro se la donna «sia persona con disabilità o abbia figli con disabilità» e di 200 euro se nel nucleo preso in carico sono presenti «due o più persone con disabilità».
L’ammontare del sussidio può essere aumentato per il rimborso delle spese legali e per l’inserimento lavorativo. «La regione Sardegna stabilisce la compatibilità con altre misure di sostegno nazionale di contrasto alla povertà ma non è cumulabile con le misure nazionali del reddito di libertà», spiega Battistina Oliva, responsabile del servizio sociale territoriale di Sassari.
Le regioni, che stanziano fondi regionali per supplire a quelli esigui dello stato, hanno avuto il merito di ampliare la platea delle donne che possono accedere al reddito di libertà.
Le Marche
Nella regione in cui, secondo gli ultimi dati, per il quarto anno consecutivo crescono le richieste di aiuto ai centri antiviolenza, il consiglio regionale guidato da Francesco Acquaroli, fedelissimo di Giorgia Meloni, non ha votato a favore del reddito di libertà regionale.
Il Partito democratico porta avanti da due anni una proposta di legge, a prima firma del consigliere Fabrizio Cesetti, per istituire un fondo di 300mila euro annui da destinare alle donne vittime di violenza.
Per i consiglieri dem la misura nazionale non riesce davvero ad aiutare tutte le donne che ne fanno richiesta, e si sono fatti portatori della misura in regione.
Il consigliere Fabrizio Cesetti del Pd ha denunciato: «Quello che sta facendo il centrodestra è inaccettabile. Per due anni la proposta è arrivata in aula e viene puntualmente rinviata dalla maggioranza, secondo cui ci sono sempre altre priorità».
Lo stesso discorso vale per gli emendamenti alla legge di bilancio che il Pd propone ogni anno, da quattro anni, per sostenere le donne. Nel 2023, sono però stati stanziati 800mila euro destinati agli oratòri della regione.
Una precisa scelta politica, che in modo scellerato abbandona le donne che hanno subito violenza maschile: la misura elargita dallo stato alle regioni, poi suddivisa nei vari comuni, arriva spesso in ritardo. E la somma dei 500 euro e la durata di soli 12 mesi non è sufficiente per garantire una vita all’insegna dell’autonomia e della libertà.
Per approfondire la tematica del sostegno al reddito, segnaliamo che il 28 e il 29 marzo a Roma, a Extralibera in via Stamira 5, si terrà la due giorni della campagna nazionale Ci vuole un reddito “Rewind: ricomincio dal reddito”. Il 29 marzo, alle 10.30, si terrà il tavolo: “Ricomincio da me! Sostegno al reddito e violenza di genere”, dove in merito interverranno centri antiviolenza e consulenti legali.
© Riproduzione riservata