La terza operazione in Albania è stata organizzata dal governo in pochi giorni, tanto da non permettere un rinnovo del contratto con l’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim). È uno degli elementi che distingue questo trasferimento dai due precedenti, e che nei fatti offre meno garanzie ai 49 naufraghi salvati al largo di Lampedusa e portati nei centri realizzati in base al protocollo Italia-Albania.

Dopo la vicenda del generale libico Almasri, su cui pende un mandato d’arresto della Cpi per crimini contro l’umanità, i flussi dalla Libia sono ripresi e l’isola di Lampedusa, nonostante la stagione invernale, ha visto un’impennata improvvisa di sbarchi. Dal 19 gennaio, giorno dell’arresto del libico, al 27 gennaio il cruscotto statistico del Viminale segna oltre 2.800 arrivi.

«Mentre Giorgia Meloni manda 49 migranti a Shëngjin, in Italia ne sbarcano 3mila», ha detto Riccardo Magi, segretario di +Europa, evidenziando come i centri costruiti dall’altro lato dell’Adriatico non abbiano prodotto alcun «effetto deterrenza sugli arrivi».

Dopo un pre-screening fatto in mare, le autorità italiane hanno dichiarato eleggibili per il trattenimento in Albania 49 richiedenti asilo, in maggioranza provenienti dal Bangladesh, sei dall’Egitto, due dal Gambia e due dalla Costa d’Avorio. Stati inseriti dal governo nella lista dei paesi sicuri. Nei centri albanesi possono infatti essere portate solo persone provenienti da questi paesi, maggiorenni e non in condizioni di vulnerabilità, a cui possono essere applicate le procedure accelerate di frontiera.

Per questo, in serata, dopo le procedure di screening fatte al centro di Shëngjin, almeno cinque persone sono state considerate non compatibili con il trattenimento e per questo riportate in Italia, a Brindisi, con la stessa nave della Marina militare. Quattro perché minorenni e una perché in condizioni di vulnerabilità.

L’assenza dell’Oim

A monitorare le operazioni, oltre all’Unhcr, la deputata del Partito democratico Rachele Scarpa e alcuni rappresentanti del Tavolo asilo e immigrazione, che ha riscontrato «gravi violazioni in relazione all’accertamento della minore età e delle vulnerabilità, che deve avvenire prima del trasporto in Albania».

Nelle operazioni di screening questa volta però non erano presenti i mediatori e i Protection Officers dell’Oim, con un’esperienza decennale nelle operazioni di sbarco. Valutazioni molto complesse, segnala Scarpa, sono state lasciate «al personale medico della Marina militare, che ha sicuramente molte competenze, ma non sulle questioni che riguardano chi ha un percorso di migrazione», e non può assicurare «le stesse garanzie di terzietà» di un’agenzia Onu. Nel centro di Shëngjin è stato l’Usmaf a occuparsi di esaminare le condizioni dei naufraghi. 

La notizia della terza operazione è stata data all’Oim solo quattro giorni prima, non consentendo i tempi tecnici per un rinnovo del protocollo, che era stato stilato in una modalità pilota per i primi tre mesi. Anche l’accordo con l’Unhcr era in scadenza. Il rinnovo – di altri sei mesi – è stato però più semplice, fanno sapere, per il ruolo che ha l’agenzia nelle attività in Albania, cioè quello di monitoraggio.

Gli altri migranti sono stati invece portati a Gjadër, a una ventina di minuti dal porto, in un entroterra desolato. Qui, avranno un colloquio con la Commissione territoriale per la loro richiesta di asilo e dovranno comparire davanti ai giudici della Corte d’appello – dopo che il governo ha tolto la competenza alle sezioni specializzate – entro 48 ore, che decorreranno da mercoledì mattina. Se non verrà convalidato il trattenimento, come già accaduto, dovranno essere portati in Italia.

Questa terza deportazione è un azzardo del governo che ha deciso di non aspettare la decisione della Corte di giustizia dell’Ue e di interpretare a proprio modo le pronunce della Cassazione, che a dicembre ha stabilito la competenza del governo a stilare la lista dei paesi sicuri, ma il potere-dovere del giudice a valutare caso per caso.

Il rischio per il governo è quello di veder rientrare tutto il gruppo in Italia, ancora una volta, e di leggere decisioni simili a quelle precedenti, a costo di alzare sempre di più il livello dello scontro con la magistratura.

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