È la decisione di primo grado presa dalla Corte d’assise di Venezia, al termine del giudizio immediato. Escluse le aggravanti della crudeltà e dello stalking, riconosciuta invece quella della premeditazione. La studentessa 22enne è stata uccisa dall’ex partner l’11 novembre 2023. Gino Cecchettin: «Fatta giustizia, ma abbiamo perso tutti come società»
La corte d’assise di Venezia ha condannato Filippo Turetta all’ergastolo per il femminicidio di Giulia Cecchettin, uccisa l’11 novembre 2023 con 75 coltellate. I giudici hanno escluso le aggravanti della crudeltà e dello stalking contestate all’uomo dalla procura. Riconosciuta invece l’aggravante della premeditazione.
Oltre alle interdizioni di legge, è stato disposto un risarcimento alle parti civili con il pagamento di una provvisionale di 500mila a Gino Cecchettin, 100mila ciascuno ai fratelli Elena e Davide, 30mila ciascuno alla nonna Carla Gatto e allo zio Alessio, oltre alle spese di costituzione legale. Le motivazioni verranno depositate entro 90 giorni.
La sentenza è arrivata dopo cinque udienze di un processo breve perché si è svolto, col consenso della difesa e della Procura, senza l'ascolto di testimoni e senza ulteriori consulenze. I due giudici togati e i sei popolari, presieduti dall'esperto Stefano Manduzio, hanno accolto la richiesta del pm che aveva definito il delitto «l'ultimo atto di controllo» da parte di Turetta nei confronti della ragazza che l'aveva lasciato.
aveva chiesto, nella sua requisitoria, la condanna all’ergastolo.
Il 23enne è presente in aula, così come il padre di Giulia, Gino Cecchettin, che si è costituito parte civile. Con lui anche i due figli, fratelli della ragazza, la nonna e lo zio. Per Turetta, reo confesso, l’accusa è di omicidio volontario aggravato da premeditazione, crudeltà, efferatezza, oltre che sequestro di persona, occultamento di cadavere e stalking. Il 25 novembre scorso il pubblico ministeroGiulia Cecchettin aveva 22 anni e viveva a Vigonovo, in Veneto, con la sua famiglia. Turetta, anche lui 22enne, abitava poco lontano. Studiavano entrambi Ingegneria all’università di Padova e Giulia avrebbe dovuto laurearsi il 16 novembre 2023.
Cecchettin e Turetta avevano avuto una relazione, che lei aveva deciso di interrompere. Quest’ultima vedeva come un ricatto l’atteggiamento di lui sempre più possessivo. Era arrivato anche a minacciare il suicidio dicendo di non vedere un futuro senza di lei. Alle amiche aveva raccontato che usciva ancora con lui proprio per scongiurare gesti estremi.
Le parole di Gino Cecchettin
Dopo la sentenza, il padre di Giulia Cecchettin, Gino, è intervenuto ai microfoni dei giornalisti presenti: «La mia sensazione è che abbiamo perso tutti come società. Pensavo di rimanere impassibile, ma non è così. Nessuno mi darà indietro Giulia. È stata fatta giustizia, rispetto la sentenza, ma dovremmo fare di più come esseri umani. La violenza di genere non si combatte con le pene, ma con la prevenzione, insegnando concetti che forse sono un po’ troppo lontani. Come essere umano mi sento sconfitto, come papà non è cambiato nulla rispetto a ieri o a un anno fa. La battaglia contro i femminicidi continua, è un percorso che dobbiamo fare come società. Si riparte dalla Fondazione e andremo avanti nel percorso che abbiamo intrapreso, cercando di salvare altre vite».
«Non siamo qui per onorare la memoria di Giulia, ma per rispettare le leggi che ci siamo dati come società civile. Non è questa la sede per onorare la memoria di mia figlia», ha concluso.
Il femminicidio
La sera dell’11 novembre 2023 i due avevano un appuntamento e quella sera Giulia non è tornata a casa. Un testimone riferì di aver visto un uomo e una donna litigare in un parcheggio a Vigonovo, non molto distante dalla casa di Cecchettin.
Le ricerche sono iniziate dopo la denuncia per la scomparsa presentata dai familiari di Cecchettin. La procura di Venezia ha aperto un’inchiesta per scomparsa di persona, trasformata poi in un’indagine per tentato omicidio, dopo l’acquisizione di un video risalente a quella notte, che mostrava Turetta aggredire, ferire e caricare forzatamente in auto Cecchettin nella zona industriale di Fossò, in provincia di Venezia. Dopo l’assassinio, Turetta si è dato alla fuga ed è stato arrestato successivamente dalle forze dell’ordine tedesche che lo hanno consegnato alle autorità italiane.
Il 18 novembre è stato ritrovato il corpo di Giulia Cecchettin, ai piedi di una scarpata nella zona del comune di Barcis, in Friuli. Lo stesso giorno in cui Turetta è stato identificato vicino a Lipsia, in Germania.
Al momento dell’arresto ha subito confessato: «Ho ucciso la mia fidanzata», nonostante i due non avessero più una relazione da tempo. Pochi giorni dopo è stato estradato in Italia. Da quel momento Turetta è recluso nel carcere veronese di Montorio.
Il processo
Il processo a carico di Filippo Turetta è iniziato il 23 settembre 2024 davanti alla corte d’assise di Venezia. La difesa dell’imputato ha scelto il rito immediato. Alla prima udienza il 23enne è stato assente per evitare il clamore mediatico. Le accuse a suo carico sono: omicidio aggravato dalla premeditazione, crudeltà, sequestro di persona, occultamento di cadavere e stalking.
Nelle ultime udienze, del 25 e 26 novembre, il pubblico ministero Andrea Petroni ha chiesto, al termine della requisitoria, la condanna all’ergastolo per l’imputato.
In aula il pm ha ricostruito le fasi dell’omicidio e della fuga di Turetta, portando tutti gli elementi necessari per contestare all’imputato l’aggravante di premeditazione e crudeltà oltre a confermare l’accusa di stalking, fenomeno che è sembrato esserci fin dagli inizi della relazione.
L’ergastolo «è inumano», ha replicato la difesa di Turetta, sostenendo che il ragazzo avesse «agito in preda all’emotività». La difesa ha chiesto quindi di escludere le aggravanti o di considerarle equivalenti alle attenuanti, per evitare il fine pena mai.
Le reazioni alla sentenza
«Ci aspettavamo l’ergastolo, ma nessuno vince oggi» così ai giornalisti l'avvocato Stefano Tigani, legale di parte civile per Gino Cecchettin. Per Tigani «La fine di un processo è un accertamento che vedrà gradi di impugnazione, e dovremo combattere anche là. L’ergastolo ha un’aggravante pesantissima – ha aggiunto – questa sentenza sono convinto che passerà indenne i successivi gradi».
«Accogliamo con soddisfazione questa sentenza che riconosce la gravità assoluta di un reato come il femminicidio», ha commentato la presidente di Differenza Donna, Elisa Ercoli. E ha aggiunto: «Ci auguriamo che la velocità e l’efficienza viste in questo procedimento siano garantite a tutte le donne, sia nelle situazioni gravissime di femminicidio sia nei tantissimi procedimenti di maltrattamenti stalking violenza sessuale diffusione illecita di immagini intime e di tutti i reati del genere che milioni di donne subiscono e milioni di uomini agiscono nel nostro paese». «Non poteva che essere questa la risposta della giustizia. Purtroppo, però, nessuna misura punitiva può riportare tra noi Giulia e le altre 100 donne uccise per mano di un uomo, in questo anno». Così Antonella Veltri, presidente D.i.Re – Donne in Rete contro la violenza in merito alla condanna.
Sulla sentenza si è espresso anche il mondo della politica. Primo fra tutti il vicepremier Matteo Salvini: «Giusto così. Ora sarebbe corretto obbligarlo anche a lavorare duramente, in carcere, per evitare che la sua permanenza in galera sia completamente a carico degli italiani». «La condanna all’ergastolo, se non lenisce il dolore, almeno fa giustizia e lancia un messaggio chiaro e forte. Chi commette femminicidio non ha giustificazioni, attenuanti o scuse di sorta per i suoi atti. Deve pagare e pagare fino in fondo». Così, la senatrice di Forza Italia e vicepresidente del Senato, Licia Ronzulli.
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