La commemorazione della strage per l’uccisione nel 1978 dei tre militanti missini davanti alla sede dell’Msi è stata una vergognosa pantomima, il solito alibi per centinaia di neofascisti e di neonazisti (molti dei quali, di nuovo, già indagati) tornati ad alzare braccia e a inneggiare al regime con la scusa della commemorazione
Napoli, 12 ottobre 2023. Cinque squadristi (quattro italiani e un ucraino) affiliati alla sezione “Berta” di CasaPound, installata nella vecchia sede missina di via Foria, aggrediscono a calci e pugni Roberto Tarallo, un insegnante di fotografia, solo perché indossa un giubbotto con uno stemma antifascista, mentre l’amico con cui Tarallo percorre in quel momento le scale di una via del quartiere collinare del Vomero viene minacciato con un coltello.
Il 18 gennaio 2024 tre degli aggressori (fra cui l’ucraino) vengono messi agli arresti domiciliari, mentre un quarto si vede notificato il divieto di dimora. Nel dicembre del 2024 i quattro uomini sono stati mandati a processo dal giudice per le indagini preliminari del tribunale di Napoli. La prima udienza è prevista per il 3 febbraio 2025.
I tre estremisti di destra italiani ritenuti responsabili dell’aggressione a Roberto Tarallo sono i gemelli Vittorio e Roberto Acuto (segretario della “Berta”) e Paolo Primerano, già guardia giurata e ora dipendente del ministero dei Beni Culturali in forza alla reggia di Caserta.
I tre, insieme all’indagato nei cui confronti non si è poi proceduto, erano stati fra i partecipanti al raduno romano di via Acca Larenzia del 7 gennaio 2024. Allora diverse centinaia di persone avevano come sempre manifestato, davanti alla vecchia sede del Movimento Sociale Italiano, inneggiando al Ventennio col loro schieramento in formazione militare e coi tre volte “Presente!” accompagnati dal braccio teso.
Di qui la trentina di militanti di CasaPound (anche della “Berta”) a rischio di rinvio a giudizio per apologia del fascismo (le indagini si sono chiuse nel dicembre scorso) e la risoluzione approvata dal Consiglio del settimo municipio del Comune di Roma, il 30 gennaio 2024, per la rimozione della croce celtica in bella mostra dal 2017, l’anno in cui fu disegnata sul piazzale antistante la sede dell’Msi, e il divieto di svolgimento di una commemorazione di chiara impronta neofascista.
La risoluzione, che avrebbe dovuto coinvolgere anche l’Inail (Istituto nazionale assicurazione infortuni sul lavoro), proprietario dell’area contenente la croce, impegnava Francesco Laddaga, presidente del municipio, a parlarne col sindaco Gualtieri. I fatti di Acca Larenzia del 7 gennaio, insieme ai raduni della tedesca AfD (Alternative fûr Deutschland), avevano anche convinto Ylva Johansson, commissaria agli Affari interni dell’Unione europea, a lanciare un preoccupato appello contro il rischio di un prepotente riaffacciarsi del fascismo e del nazismo nel vecchio continente.
La targa
La storia si è ripetuta il 7 gennaio 2025. Anche stavolta la commemorazione della strage per l’uccisione nel 1978 dei tre militanti missini Franco Bigonzetti, Francesco Ciavatta e Stefano Recchioni dinanzi alla sede dell’Msi di via Acca Larenzia è stata una vergognosa pantomima, il solito alibi per centinaia di neofascisti e di neonazisti (molti dei quali, di nuovo, già indagati) tornati ad alzare braccia e a inneggiare al regime con la scusa della commemorazione.
Se non è più rinviabile lo scioglimento delle associazioni di estrema destra operanti nel nostro paese, a partire proprio da CasaPound, l’annuale raduno di via Acca Larenzia va vietato una volta per tutte e vanno rimosse, oltre alla croce celtica, la targa per Recchioni firmata “I camerati” e riaffissa in via Evandro (a pochi metri di distanza dalla sede missina) dopo la rimozione dell’esemplare precedente (29 dicembre 2024) da parte dell’Ufficio decoro del Comune di Roma, e l’altra targa “commemorativa” collocata sul luogo della strage nel 2012 in sostituzione di quella antecedente, posta lì nel 1978 da una delegazione del Fronte della Gioventù guidata da Gianfranco Fini, all’epoca segretario del movimento giovanile missino.
Nella lapide che c’è ora, di ben diverso tenore dall’altra, in cui i tre militanti morti, venivano dichiarati «vittime della violenza politica», si legge «assassinati dall’odio comunista e dai servi dello Stato». Firmato, ci risiamo: «I camerati».
Il 7 gennaio 2012, a operare la sostituzione della targa precedente con quella attuale, furono i militanti della storica sede missina, che si erano sentiti traditi dalle false promesse di Fini e del suo gruppo, comprendente Maurizio Gasparri e Ignazio La Russa. Quel giorno deposero una corona d’alloro, accanto all’entrata, Fabrizio Ghera, assessore ai Lavori pubblici di Roma Capitale, Federico Mollicone, presidente della Commissione Cultura capitolina, e Giorgia Meloni, ex ministra della Gioventù. Il 28 dicembre di quello stesso anno sarebbe nata “Fratelli d'Italia centrodestra nazionale”, l’associazione fondata, oltreché da Meloni e La Russa, da Guido Crosetto.
Una Meloni che prometteva bene già quando, diciannovenne, era stata intervistata da Marie de la Chaume, una giornalista di France 3, in un servizio su Alleanza Nazionale realizzato alla vigilia delle elezioni politiche del 21 aprile 1996 e andato in onda il giorno prima su Soir 3, il telegiornale di tarda serata dell’emittente televisiva francese.
La giornalista aveva introdotto Meloni così: «Aujourd’hui ses références politiques sont celles de l’Italie fasciste, Giorgia ne s’en cache pas» (‘Oggi i suoi punti di riferimento politici sono quelli dell'Italia fascista, Giorgia non lo nasconde’). Ecco quanto disse in effetti Meloni subito dopo, nel primo dei suoi due interventi: «Moi, je crois que Mussolini c’était un bon politicien. C’est-à-dire que [...] tout ce qu’il a fait, il l’a fait pour l’Italie» (‘Penso che Mussolini sia stato un buon politico. Intendo dire che tutto quel che ha fatto l'ha fatto per l’Italia’).
Ce ne stiamo accorgendo.
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