Sta-bi-li-tà, sta-bi-li-tà, ha esultato ad agenzie di stampa unite i parlamentari di Fratelli d'Italia, per esaltare il rialzo del rating italiano operato da Standard & Poor’s. L’inedita scena degli ex esclusi che esaltano i poteri forti, le società internazionali un tempo considerate la centrale di tutti i complotti anti-nazionali, e ignorano i dati dell’economia reale, meno rosei.

Viva la stabilità politica, sempre bramata dalla politica italiana, e sempre effimera. Stabili furono i governi Craxi negli anni Ottanta dello scorso secolo e Berlusconi negli anni Duemila e Renzi negli anni Dieci del XXI, stabilissimi furono i governi democristiani che si alternavano alla guida del paese senza intaccare l’asse politico che li reggeva.

All’ombra di una instabilità apparente, di governi che duravano sei mesi, c’era la eternità sostanziale del potere democristiano, con l’impossibilità di un’alternanza. E al contrario, dietro l’apparente stabilità berlusconiana, sotto il pelo dell’acqua, si consumavano scontri micidiali, si preparavano gli assetti futuri.

Il bricolage delle leggi elettorali

Così oggi, mentre in superficie gli addetti al culto celebrano l’età meloniana, nel retropalco si moltiplicano i segnali di fragilità, si apparecchiano scenari alternativi, dal ricorso al voto anticipato nel 2026 all’ipotesi di una nuova legge elettorale.

L’emendamento anti-ballottaggio nelle città, con l’abbassamento della soglia di vittoria al primo turno con il 40 per cento, ora trasformato in un disegno di legge, è il primo avviso. Sta per riprendere, puntuale a ogni fine legislatura, il bricolage delle leggi elettorali, il pasticciaccio brutto tra proporzionale e maggioritario, tra liste e collegi che nel 2017 partorì la legge attuale, il Rosatellum, due sistemi elettorali opposti che convivono in un’unica scheda e che hanno dato due esiti opposti. La legislatura più ingovernabile (2018-2022) e la legislatura più stabile, l’attuale.

Divisi alla meta

Nella maggioranza si analizza il progressivo sfarinamento della coalizione che troverà il suo punto di esplosione alle prossime elezioni regionali. In Veneto, ma non solo. Sabato la Lega in Campania ha messo in pista il suo cavallo, il deputato Gianpiero Zinzi, di stirpe democristiana.

Lontano da palazzo Chigi, nella coalizione di governo ognuno alza il proprio vessillo, la sua bandiera. Similmente a quanto avviene sul fronte delle opposizioni, ma questa non è una novità. Semmai la notizia è che nella regione di Vincenzo De Luca si tratta sulla futura alleanza.

La questione è capire se le divisioni già in atto avranno un effetto sulle regole del gioco. Nel laboratorio delle riforme costituzionali è da tempo sparito il cosiddetto premierato, senza rimpianti da parte di nessuno, a cominciare da Giorgia Meloni. E prende forma il solito miraggio dei tempi aridi in politica.

Il ritorno del proporzionale

Il ritorno della legge proporzionale, in cui ogni partito va da solo e per il governo si vedrà dopo il voto. Togliere la camicia di forza delle regole elettorali che costringe ad alleanze indigeste.

Per Meloni è un azzardo, significa spezzare la coalizione di destra, la Balena azzurra che con diverse leadership e con numerose fratture tiene più o meno da un trentennio. Ma c’è anche l’opportunità di conquistare il centro del proscenio. La trasformazione da leader di un partito estremista a quella del primo partito della coalizione e infine a capo del partito perno del sistema, indispensabile per fare qualsiasi maggioranza, come accade per il Ppe in Europa.

L’ursulizzazione definitiva di Giorgia Meloni, la sua metamorfosi finale, qualcosa di simile alla Commissione von der Leyen a Bruxelles e alle sue maggioranze composite, variabili, in cui si entra e si esce. Porte girevoli, partiti che non si uniscono su identità politiche ma su convergenze parallele, spinti a farlo dalle emergenze: la pandemia, la guerra in Ucraina, lo scontro sui dazi. L’unità nazionale, che un tempo era l’anomalia italiana, è ora diventata il modello europeo.

Il ritorno del bipolarismo

In Europa la piccola grande coalizione diventa la norma, dalla Germania all’Austria alla Francia. Mentre l’Italia del bipolarismo destra-sinistra sta diventando l’anomalia. La patria del connubio e del trasformismo è arrivata tardi (e male) al confronto tra schieramenti di centrosinistra e di centrodestra per il governo del paese di fronte agli elettori, il bipolarismo crollato dieci anni fa si sta ricostruendo attorno ai due principali partiti, FdI e Pd, e alle due leader, Meloni ed Elly Schlein, con molti nemici all’interno delle rispettive coalizioni.

A metà legislatura è possibile che questo bipolarismo si consolidi e che alle prossime elezioni ci sia l’attuale legge elettorale con due schieramenti in gara. Il lavoro per una legge che permetta a tutti di marciare divisi, però, è in pieno svolgimento. Una sfida ulteriore anche per chi aspira a costruire l’alternativa.

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