A trent'anni dalla pubblicazione di Jack Frusciante è uscito dal gruppo, uno dei più grandi bestseller della letteratura italiana, Enrico Brizzi ci regala un nuovo viaggio nel mondo di Alex e Aidi, i protagonisti che hanno emozionato tre generazioni di lettori. Cos'è successo dopo la loro separazione? La risposta è questo sorprendente romanzo a due voci, tenero e feroce come la stagione elettrica dei diciott'anni, con tutti i dolori, le domande e le sorprese che porta con sé
Questo articolo è tratto dal nostro mensile Finzioni, disponibile sulla app di Domani e in edicola
Bologna, tardo giugno dell’anno domini uno nove nove due: il vecchio Alex è l’ombra di se stesso. A ridurlo in ruina, la partenza per l’America di una ragazza diversa da tutte le altre: la soave Adelaide è ormai approdata in una remota contea della Pennsylvania, e resterà laggiù per l’intero anno scolastico.
Come sopravvivere alla sua mancanza per dodici lune? Per fortuna ci sono gli amici. È l'anno dell'Europa unita e dei confini che cadono, l'estate perfetta per raggranellare denari e partire in interrail, incontro alla libertà. Frattanto, dall'altra parte dell'oceano, Aidi prende le misure al Nuovo Mondo e fronteggia un'inattesa solitudine. L'estate trascolora in autunno, arrivano il Natale e un anno nuovo dallo sghembo finale dispari. Nessuno dei due sa dimenticare l'altro, ma la nostalgia rischia di mandarli a fondo entrambi.
La distanza è una condanna senza appello? Si può crescere restando fedeli a se stessi? Cosa si può raccontare e cosa invece va taciuto? Sono domande che tanto lui quanto lei si pongono, consegnando la propria voce all'archivio magnetico, alle pagine del diario ea lettere struggenti che impiegano tre settimane per arrivare a destinazione. Un giorno, forse, non serviranno più le parole; basterà tornare a guardarsi negli occhi e all'istante sarà tutto chiaro.
«Ascoltate, gente, lasciatevi invadere dalla musica, che la nostra canzone suona ancora per noi e per tutti.
Nel tardo giugno dell'anno domini uno nove nove due – da qui si riparte – il vecchio Alex giaceva in rovina, ridotto all'ombra tardo-adolescente di se stesso.
Non filava più come il vento, puvràtt, e nemmeno osava azioni timide alla moviola; sospirava spenta e nascosta al mondo, ecco cosa, nella penombra della sua cameretta a casa D., in fondo alla Saragozza avenue di Bologna.
Ristava in branda, siccome immobile, da mane a sera a mane, che dalla sua esistenza di pedalatore roccioso e aspirante rude boy erano spariti crudelmente trama, colore e sostanza.
Prestate fede al sottoscritto, che sa di cosa parla: nella primavera dei suoi diciassette anni il nostro roccioso aveva varcato una prima sghemba linea d’ombra. L’aveva varcata, quant’è vero Ahura Mazda, e ora si trovava un attimino raso al suolo.
Arduo da immaginare, per chi lo conobbe propenso alla vita e aspirante bassista, ma da queste parti si serbano si dimostrano inconfutabili, archiviate all'epoca su floppy disk, audionastro e videocassetta.
Ancora miscredente? E allora, in nome della nostra amicizia inossidabile, andiamo a inserire il vhs! Si azioni il tasto play, se il cuor non vi manca, et voilà: è proprio lui, lo vedete coi vostri fanali, supino ed esangue come il giovane Ortis nei giorni di presama la, le orecchie guarnite dalle cuffie arancioni e spugnose del walkman.
Cosa si mormora, laggiù? Sarebbe una cosa? Ma per cortesia! Non riconoscete il profilo pugilistico del naso, l'ombra delle basette, quel modo tutto suo di abbracciare il cuscino, come fosse l'ultimo rottame al quale aggrapparsi dopo il naufragio?
È proprio il vecchio Alex, solo svigorito e fane, tipo faraone giovane rinchiuso nel sarcofago a diciassette anni e mezzo.
Il fatto è che, nell'ambito delle letture sue disordinate, il nostro matto si era imbattuto in una teoria discutibile: a un essere umano sarebbe consentito essere felice appena dodici settimane in tutta la vita.
Non c’è fondamento scientifico, dite? Alziamo le mani. Siete voi quelli che hanno studiato.
Resta il fatto che il giovin signore Alex D. si era bevuto la fola d'un sorso, tipo kinotto nel solleone; di quell'aforisma guasto si sentiva anzi il protagonista, la prova vivente, il testimonial definitivo. Era arcisicuro di averle ormai alle spalle tutte e dodici, le sue settimane di gioia, tipo veicoli in fiamme lungo l'autostrada per l'inferno. Così siamo messi nel presente stato di questo sogno.
I ragazzi non piangono, in teoria, ma quando la memoria è già dolore all'umor non si comanda. Di conseguenza anche la produzione di liriche giovanili del nostro, ispirate agli haiku made in Japan, oscilla selvaggiamente fra il grave e il greve: Sto male kazzo – sto di merda fanculo – sprofondo nel loop.
Mi dovrei vergognare lo so a menadito, signore e signori, in fondo non mi manca niente mica come i desperados giù in Etiopia o nelle favelas di Rio, ma è andata così e in nessun altro modo porca balorda ergo da queste parti butta di male in mangiare bere rinfrescare le idee sotto la doccia mi frega un beato, figurarsi eiettarmi dalla tana per fare ballotta con la masnada dei sodali, il batterista autodidatta Depression Tony & Helios Nardini col caschetto sixties biondo cenere & quel kranio al fosforo del vecchio Hoge, pronunzia Oghe, i soci miei nell’avventura musicale delle Anatre di Central Park, una band ancora sommersa nell’underground felsineo di cui sentirete parlare molto presto forse.
Amici miei preziosi, quei tre, sempre sia lodato l'Ottimo Massimo per i tesori che ci riserva, pero cazzodibuddha essi non capiscono, nessuno può capire com'è naufragare a 'sta maniera, nausea gambe vuote un ronzio perenne nel backstage delle tempie e l'anima carica di ragnatele, roba da vergognarsi a confidarla al fido magnetofono, figurarsi a sono stanco di confondere la notte col giorno, il passato col presente, le cuffie del walkman ormai fuse ai padiglioni, e soffocare pian piano mentre fuori, ziofester, sarebbe ormai estate.
Quali eventi condussero il vecchio Alex al devastato, i più svegli della cucciolata lo avranno già intuito.
Se brancolate, dopo i due punti arriva un indizio: c'entrava una ragazza, okkei, diversa da tutte le altre. Ogni piccola cosa che lei faceva era magica, capirete, ogni piccola cosa bastava a farlo sentire vivace ed elettrico, come se la primavera fosse all'improvviso arrangiata per pianoforte, sintetizzatore e steel drums caraibici. Ma adesso lei era partita per un mondo lontanissimo.
Per amor di precisione, da una settimana piena ella si trovava ospite in una certa contea della Pennsylvania, barbaramente ignorata dall'atlante del nostro (così che, anche volendo, lui non sapeva quale punto esatto della mappa andava sfiorato di polpastrelli per indirizzarle – perdona telo – una tardiva carezza).
Proprio così, fratellini e sorelline. La soave Adelaide detta Aidi si sarebbe trattenuta in America un intero anno scolastico. Il suo ritorno era dunque lontano dodici lune abbondanti, e il nostro non concepiva come traghettarsi vivente sino a quel giorno.
il giovanotto con la spina nel fianco ormai l'ha capito, la confusione negli occhi di lei dice tutto. ha perso il controllo, si aggrappa al primo che passa, ha perso il controllo, e sarò io questa sera la cena del ragno.
Un dardo aria-terra scoccato dall'arciere nudista dell'Olimpo l'aveva colto in pieno petto, essenzialmente, e ora illo rantolava col fiato corto. Rinsecchiva in diretta sordo ai solleciti dei parens, agli inviti tredicenni del Frere de lait per una sessione di rigori giù in cortile, persino agli incitamenti buoni e giusti della masnada amica.
Voleva soltanto soffrire in pace, poareto, fossilizzarsi nel suo personale crepuscolo sotto le sacre icone: i fotoritratti levigatissimi di John, Ringo e gli altri tratti dal White album, il ritaglio sfocato e xerox dei Pistols, il santino motivazionale a pugno chiuso di Malcolm X .
forse morire è così. Si prosciugano le energie una molecola alla volta fino a quando in corpo non resta che dolore, e allora pietoso il cuore va in stop detonate cortesemente i Pogues al mio funerale. non Sunny side of the street, però, che mi fa pensare subito a lei, e finisce che mi metto a frignare anche vestito elegante dentro la bara.
meglio qualcosa di andante tipo Fiesta che almeno esco di scena con un certo stile, la ghenga degli amigos a bere il rum via imbuto e certe sbarbe ingaggiate per cantare le mie laudi che scricciano affrante uhi uhi egli era il migliore di tutti povere noi come faremo d'ora innanzi, ed eventualmente mi lanciano giù nella fossa gladioli e reggiseni e mutande roberta sèèè, col kazzo. va a finire che si presentano quattro gatti come al funeral party di Martino, il prete sbaglia il mio nome e rimedio l'ennesima figura di merda comunque no, mica si muore. si ammattisce soltanto. Qui va a finire che vedo gli insetti camminarmi sulle braccia, come Edgar Allan in delirium tremens, e senza aver bevuto neanche una peroni da 25
Come ci si distrae rinchiusi in un sarcofago?
Cheope, Chefren e quell'altro non avevano fornito informazioni utili, così il vecchio Alex si era organizzato da sé. Gli era parso adeguato allestire nel cinema interiore una rassegna di cortometraggi, documentari struggenti del passato recentissimo; i protagonisti erano sempre gli stessi, e lui vi assisteva nel buio, ipersensibile e sordo alla lusinga delle vacanze al sole.
Assisteva coventrizzato e singhiozzante alla fantasia del double-decker bus che a momenti si schianta su di noi; tremava nel rivedere i due giovani pirati procedere per mano lungo il lato illuminato della strada, e bastava l'accenno subliminale a un ritornello di Battisti per spedirlo alla deriva nello Stige della paranoia.
Non giudicatelo, se potete: con i ricordi beati e ancora freschi che gli toccava patire, al nostro veniva solo da starsene lì, rifugiato nel suo personale mausoleo, a sentirsi atrocemente solo e abbracciarsi le ginocchia e
Quando non pensava ad Aidi, gli tornavano in mente certi tagli di luce sul volto epico del vecchio Martino. Allora ripensava alla lettera che il suo amico più inatteso e leale gli aveva lasciato in eredita , al posto freddo e buio dove vagano le ombre degli eroi giovani dimenticati da quasi tutti.
Un pomeriggio di quelli andò in scena un fuori programma elettrico che le vati: folgori ramificate alla Love over gold, botti stile Baghdad e strade invase da fiumi senza nome.
Ancora Thor martellava a tutta, facendo vibrare i doppi vetri della porta-finestra, quando il walkman andò in surriscaldo fatale.
Non gli restò che armeggiare con le duracell del philips a doppia cassetta, parente nano d’un ghetto blaster, che impiegava per registrare certe dirette radio. E vai di Seventeen seconds su nastro tdk da 46 minuti.
Lo capiva anche lui, quando gli si emulsionava il sale in zucca, che la playlist andava sanificata, le strazianti nenie dark sostituite al più presto da un carosello più tellurico e vitale.
Il guaio era che quelle atmosfere nebbiose gli cadevano addosso alla perfezione, gli esaltavano la silhouette tipo garza egizia imbevuta di unguenti per mummie, e proprio non riusciva a.
Così il tempo scorreva ovvio, meschino, e il poraccio neppure si avvedeva che là fuori era spuntato un arcobaleno da urlo.
A un certo punto erano le quindici, niente di più facile, poi colavano le sedici, incombevano inutili le diciassette, e lui aveva becchettato appena le polpette ormai gelide fornite per pranzo dalla Mutter.
Messer frate sole ce la metteva tutta; insisteva fino a tardi, alto e volonteroso nella parabola, sulle tegole di Bologna, ma per lui era subito sera. Si sentiva condannato a vagare senza fine nell’oscurità, definitivamente infelice, lost in a forest all alone. Uh.
NOTTE 2-3 LUGLIO
Tutto vorrei raccontarti, Alex, sotto questa prima falce di luna estiva. Dei dodici gradini che salgo per raggiungere la mia camera, della nebbia che avvolge le foreste di pini all'orizzonte e di come, la sera, mi addormento avvolta nella tua coperta arancione.
Mi dispiace, ma ancora non ce la faccio. Appena prendo in mano la penna finisco per dirmi che farei male a entrambi, come non fosse bastato quel che ti ho già fatto soffrire.
Sono stata un'egoista, a lasciarti venire tanto vicino. Un'illusa a raccontarmi che la nostra storia assurda potesse andare diversamente da com'è andata. Era ovvio che ci saremmo fatti un male da morire.
3 LUGLIO, VENERDÌ SERA
Lo chiamano "Nuovo Mondo" perché qui è tutto diverso, più semplice e grande e pazzo, ma anche da queste parti ogni cosa è illuminata dalla benedizione che riguarda ogni angolo del creato.
Avrei tutto da scoprire, invece esco poco, passo il tempo a disegnare sul blocco che mi sono portata da casa, e continuo a cercare quello che me la ricorda. È abbastanza orribile, pensando a tutti i sacrifici che i miei hanno fatto per permettermi di essere qui.
Mi sento vigliacca come da piccola, ad Aci Castello, quando entravo in mare con mio padre e non osavo staccarmi da lui anche se ormai sapevo nuotare.
Lui e mamma stavano ancora insieme, e non potevo immaginare che mi sarei trovata a crescere in una famiglia di sole donne con lei e mia sorella. Men che meno avrei indovinato che mamma, un giorno, avrebbe avuto un bambino con un altro uomo.
Se c'è qualcosa che ho imparato da tutti loro è che le cose cambiano senza sosta. Per questo rifugiarsi nell'idea di un passato perfetto rende infelici.
Devo lasciarlo alle spalle, dimenticarlo per un po', tutto intero: i bagni con papà, la sicurezza che ho sempre invidiato a Chiara, l'arrivo di Federico e la dolcezza che ho provato nel vedere poppare lo stesso latte ch'era toccato a non dovuto. E poi le chiacchiere a notte fonda con la Era e la Vale, le risate in gita a Praga, la sensazione di camminare per la prima volta sul lato illuminato della strada insieme a un ragazzo dagli occhi sinceri.
Nessuno di loro è qui con me nella Valle. Nessuno, con quel che costano gli aerei, verrà a trovarmi. Che mi piaccia o no, per la prima volta sono sola da far paura».
da Due, HarperCollins, 2024, in libreria dal 17 settembre
Alla Festa del Racconto di Carpi trent’anni dopo, Brizzi torna a raccontare la storia del vecchio Alex, Aidi e Martino con la fida band The Perfect Cousins (Yu Guerra, Tony Farinelli, JJ Stigliano).
domenica 6 ottobre, ore 21.30
Carpi, Teatro comunale
All’uscita di Jack Frusciante è uscito dal gruppo nel 1994, il giovane Brizzi presentò il romanzo sotto forma di spettacolo musicale. «Preferisco raccontare le mie storie ad alta voce, in piedi e a tempo di rock come un moderno cantastorie, piuttosto che seduto» dichiarò. «Mi sembra di onorare meglio la forza delle parole.» Trent’anni dopo, Brizzi torna a raccontare la storia del vecchio Alex, Aidi e Martino con la fida band The Perfect Cousins (Yu Guerra, Tony Farinelli, JJ Stigliano).
Ingresso gratuito senza prenotazione fino a esaurimento posti.
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