Il nuovo romanzo di Sandro Veronesi, che chiama in causa l’imparare a vedere sé stessi e gli altri nel proprio percorso di crescita
Questo articolo è tratto dal nostro mensile Finzioni, disponibile sulla app di Domani e in edicola
C’è un fotogramma del film di Luis Buñuel Un cane andaluso molto famoso e capace, ancora oggi, a quasi cento anni di distanza, di inquadrare bene il nostro rapporto con la realtà: si tratta del frammento in cui un rasoio lentamente si avvicina alla pupilla di un occhio e, pian piano, lo taglia in due, in una rivoltante e straordinaria metafora dell’accrescersi inarrestabile dell’universo delle immagini e del ruolo, strabordante, della vista per orientarsi nel coacervo dell’esistenza. L’importanza del vedere, l’idea che ognuno di noi osservi il mondo cercando di galleggiare tra la marea di cose che appaiono davanti ai nostri occhi, di riconoscere cosa davvero ha importanza e cosa davvero significa guardare per capire è un richiamo per chiunque voglia intendere il nostro ruolo dentro la realtà, come ci formiamo e come ne facciamo parte.
«Immaginatemi sempre così, per favore. Mentre vedo» sono le ultime parole del protagonista del nuovo romanzo di Sandro Veronesi Settembre nero (La nave di Teseo), che idealmente si lega alle altre opere dello scrittore due volte Premio Strega (con Caos calmo e Il colibrì) proprio perché anche la storia di Gigio Bellandi, il ragazzo dodicenne che a tanti anni di distanza racconta la sua estate del 1972, è una sorta di educazione alla vista, il racconto di come si forma uno sguardo capace di comprendere gli altri e vedere davvero sé stesso.
Il cuore della storia
Nel suo romanzo precedente, Il colibrì, la storia dell’oculista Marco Carrera rendeva abbastanza evidente il cuore della ricerca di Veronesi perché in una vita costellata di imprevisti e disastri sarà proprio un improvviso cambio di prospettiva a offrire nuovi itinerari, ma simili riorganizzazioni dello sguardo ammantano anche, in maniera diversa, le vicende di Pietro Paladini in Caos calmo o del protagonista di La forza del passato.
Non si tratta, ovviamente, di una questione da poco, ma di un tentativo di andare a conoscere quelle che sono le radici dell’essere umano, chiamato a muoversi tra gli avvenimenti e gli incontri della sua vita mettendo a fuoco quello che vede per decidere cosa fare. Veronesi, che affida al racconto e alla letteratura l’onere di questa dura interrogazione, consapevole che il romanzo è proprio un tentativo di resistenza, in Settembre nero decide di raccontare l’estate in Versilia di Gigio Bellandi, un ragazzo di Vinci «promosso con Distinto in terza media, tifoso della Juve, di Bitossi e della Ferrari nonché patito per tutti gli altri sport pur senza praticarne alcuno, mite, passivo e generalmente poco intraprendente», con un padre avvocato e amante delle gite in barca, una madre casalinga irlandese dai capelli «del colore di un’alba di maggio in Cornovaglia» e una sorella, Gilda, silenziosamente straordinaria. Ma già le prime pagine del romanzo raccontano immediatamente al lettore che questi mesi estivi non saranno solo di felice vacanza al mare, ma saranno invece funestati da un evento sconvolgente, destinato a cambiare, per sempre, lo sguardo di Gigio sulle persone che gli stanno attorno e su sé stesso, facendogli anche vedere, in maniera diversa, i suoi genitori, ormai impossibili custodi della felicità: «Per la prima volta loro non hanno saputo proteggermi, anzi sono stati una delle cause degli sconvolgimenti che mi hanno investito. Per la prima volta il mondo è arrivato a toccarmi direttamente, senza filtri – e il mondo brucia, è fuoco vivo, e questo io non lo sapevo perché fino ad allora proprio i miei genitori si erano sempre messi nel mezzo».
È l’estate delle Olimpiadi di Monaco e del terribile attacco terroristico al villaggio olimpico, ma chiaramente non è questo il dramma che sta per consumarsi nella vita di Gigio anche se ciò che lo sconvolgerà avverrà nelle stesse ore, facendogli forse anche prendere coscienza, per la prima volta nella sua vita, dell’intreccio inestricabile tra privato e collettivo, storia personale e storia universale. Ma prima di quel momento l’estate del protagonista è tutta incentrata sulla scoperta del sentimento amoroso, sull’innamoramento nei confronti di Astel Raimondi, splendida sulla spiaggia con le sue treccine («lunghe, lucide, con una pioggia di nastri colorati a tenerle separate ma anche con certi ricami fatti non si sa come sul cuoio capelluto, dei ghirigori in rilievo che parevano rune di un’antica civiltà»), sulla dolcezza e i turbamenti del primo irresistibile amore, su come ognuno si trasformi in ostacolo per la realizzazione della propria felicità e su come anche quello che prima era fondamentale (lo sport per esempio) diventi davanti all’amore, e almeno momentaneamente, un elemento di disturbo.
La cultura di una decade
In Settembre nero c’è poi il racconto della cultura degli anni Settanta (si può costruire una lista di musiche e atleti che popolano il sogno di un ragazzo adolescente, tra David Bowie e il ciclista Bitossi, tra Cat Stevens e le figurine degli atleti dell’Olimpiade, ma poi ci sono anche, tra le altre cose, i gelati e la televisione che si colora), il resoconto della nascita di una passione per la “parola” come strumento di studio e comprensione del mondo (le traduzioni fatte con Astel delle canzoni in inglese, il mestiere di traduttore di Gigio adulto, ma anche la sperimentazione di quale rapporto esiste tra le parole e le cose che designano) e una splendida raffigurazione della paternità osservata dagli occhi del figlio, in un gioco di riflessi e immedesimazioni che diventa ancor più profondo perché a raccontarlo è il figlio cresciuto e diventato adesso anche lui padre («mio padre era un dilettante, nel senso proprio etimologico del termine, che ha che fare con delicere, e cioè sedurre. Del dilettante possedeva la passione contagiosa e la gioia di esserci, la spensieratezza e la nobiltà d’animo, ma anche la superficialità, la fatuità, l’improvvisazione e a volte la sprovvedutezza»).
La maturazione di uno sguardo
Veronesi, narrando il “settembre nero” di Gigio Bellandi, costruisce il processo di maturazione dello sguardo del protagonista, il passaggio dall’osservare bambino a quello adulto, costretto da ciò che accade e persuaso dall’amore, ma dà anche un’ennesima prova del motivo per cui sia tra i migliori romanzieri contemporanei perché in queste pagine c’è tutta la sua arte nella padronanza di una lingua che scivola nell’incanto così come succedeva nel Colibrì.
Settembre nero è il racconto di un disastro annunciato, è un perfetto meccanismo narrativo a orologeria che dopo l’annuncio iniziale del disastro non fa che rimandare quasi fino all’ultima pagina la rivelazione del mistero. Ma noi siamo sempre lì a riavvolgere il nastro con il narratore, ci chiediamo continuamente cosa sia successo a Gigio, cosa abbiano combinato di così tremendo i suoi genitori e come cambierà la vita del protagonista. Non è forse questa attesa della rivelazione l’incanto della letteratura?
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