Il pontefice ha declinato l’invito del presidente francese per l’inaugurazione di Notre-Dame, riaperta dopo l’incendio di cinque anni fa, ed è rimasto in Vaticano, dove ha creato una ventina di nuovi cardinali. Una scelta che non gli ha risparmiato delle critiche
Devastata cinque anni e mezzo fa da un incendio, magnificamente restaurata nonostante le polemiche, strattonata da ogni parte, Notre-Dame brilla come forse mai. La cattedrale di Parigi è stata riaperta – nella tormenta di una difficile crisi politica – alla presenza di cinquanta capi di stato e del presidente eletto degli Stati Uniti.
Assente il papa, criticato per non avere accolto l’invito rivoltogli dal presidente francese un anno fa, ma anche per la decisione sorprendente di volare in Corsica, tra una settimana, per presenziare a un convegno sulla religiosità popolare.
Il pontefice è rimasto in Vaticano, dove sabato 7 dicembre ha creato una ventina di nuovi cardinali, per metà europei: tra loro, ben cinque italiani e il francese Jean-Paul Vesco, vescovo di Algeri, la personalità più rilevante. Gli altri, poco noti, confermano la tendenza del papa di mondializzare sempre più gli elettori: in maggioranza presi fuori dall’Europa, sono oggi 140, mai così numerosi, anche se entro un anno una quindicina di loro perderà il diritto di voto attivo, da cui sono esclusi gli ultraottantenni.
Non è stato comunque il concistoro a motivare l’assenza da Parigi del pontefice. «Capisco che il papa non fosse desideroso di muoversi per questo tipo di celebrazioni» ha detto Laurent Ulrich, l’arcivescovo di Parigi (che non è cardinale) a Jean-Marie Guénois del Figaro, specificando che Francesco preferisce lasciare le chiese locali «vivere pienamente i momenti che le riguardano».
Eufemismi, che stemperano appena la conversazione di Ulrich con Laurent Carpentier, autore su Le Monde di un’inchiesta in più puntate sulla riapertura di Notre-Dame. Già nel 2022 l’arcivescovo aveva saputo dal pontefice che l’invito non sarebbe stato accolto. «Andare in Corsica per un colloquio sulla pietà popolare è proprio lo stile di papa Francesco» ha spiegato Ulrich, che ha aggiunto: «Avrei solo preferito che non fosse una settimana dopo, e non credo di essere il solo».
Stupore amaro e malcontento ha infatti provocato l’annuncio del viaggio lampo, poco dopo la risposta del papa, secca e negativa in una conferenza stampa, alla domanda se sarebbe andato a Parigi. Come ha rivelato Le Figaro, ad anticiparlo a porte chiuse all’assemblea dei vescovi francesi è stato il cardinale di Ajaccio, François-Xavier Bustillo: un francescano, spagnolo di origine, che è tra l’altro autore (con Edgar Peña Parra, il sostituto della Segreteria di stato, e con Nicolas Diat) di un libro con prefazione del pontefice.
Michel Cool, scrittore cattolico non prevenuto nei confronti del papa, ha dato voce alla delusione di molti, pur riconoscendo che la Corsica è una delle periferie predilette da Bergoglio, così come importante per lui è la religiosità popolare. Ma al pontefice «sembra essere sfuggito» il significato della ricostruzione di Notre-Dame dovuta «alle preghiere, alle mani dei costruttori e alle offerte di un popolo immenso e semplice»: insomma, anche la cattedrale di Parigi «valeva bene» una messa, da parte del papa.
Il fenomeno Notre-Dame è esploso sin dalla sera del disastro, il 15 aprile 2019, un lunedì santo, e poi dall’eco mondiale. Da allora non si contano le notizie, le polemiche, le decine di libri, e da ultimo un diluvio giornalistico, spesso di qualità. Come uno speciale di 164 pagine del Figaro, che racconta la «passione e resurrezione» della cattedrale fin dai momenti convulsi dell’incendio e dei crolli, o un libro sul cantiere quinquennale di Bernadette Sauvaget, giornalista di Libération.
A fare eccezione sono stati i cattolici, poco convinti e tra loro molto divisi, tanto che Le Monde ha raccontato questo «grande silenzio del clero» (e le lotte di potere). In effetti l’informazione del pur vivace quotidiano cattolico La Croix si è mostrata imbarazzata e fredda, appena riequilibrata sul piano letterario da otto racconti nell’ultimo numero settimanale.
Eppure la cattedrale parigina riassume la Francia intera e buona parte della storia europea impregnate di cristianesimo. Come si è capito fin dalla sera del disastro. «L’incendio rivela alla Francia laica, nello stesso tempo lusingata e perplessa, la dimensione planetaria della gloria di Notre-Dame» scrive Maryvonne de Saint Pulgent, già responsabile del patrimonio culturale francese.
Un suo libro, "La Gloire de Notre-Dame” (Gallimard), magnifico e attendibile sul piano storico, ricostruisce «la fede e il potere» di una cattedrale entrata nell’immaginario popolare come il suicidio di Marilyn Monroe, l’assassinio di Kennedy, i funerali del generale de Gaulle (per i francesi), l’uomo sulla Luna e l’attentato alle Torri gemelle.
Su un lato della piccola isola nella Senna, dov’era un insediamento gallo della fine del I secolo, il luogo di culto cristiano è molto antico, e del resto a Parigi si tengono due concili nel 355 e nel 360-361. Da allora almeno quattro chiese si succedono prima dell’attuale. Già nel VI secolo il poeta Venanzio Fortunato parla di un edificio dove regna la luce, e questo filo rosso riappare verso il 1150 quando Suger – l’abate di Saint-Denis valorizzato da Erwin Panofsky come massimo teorico della religiosità espressa nel XII secolo dall’arte gotica – dota la chiesa romanica di una magnifica vetrata. Hanno dunque torto anche storicamente i critici della luminosità restituita dal restauro nel rimpiangere le ombre della cattedrale così care a Proust e a Freud.
Ad avviarne la costruzione, che dura quasi due secoli, è il vescovo Maurice de Sully, che consacra l’altare maggiore nel 1182 alla presenza del legato papale. Fin dalla fondazione Notre-Dame – alla Vergine la cattedrale viene dedicata nell’867 – si trova però in mezzo a scontri di potere: nel 1163 papa Alessandro III è a Parigi, ma evita di assistere alla posa della prima pietra perché in conflitto con il vescovo.
Nel 1302 a fronteggiarsi sono Bonifacio VIII e Filippo IV il Bello, che proprio a Notre-Dame riunisce i primi stati generali di Francia per difendere contro il papa le libertà del regno e della chiesa gallicana, e poi nel 1314 vi fa condannare i templari. Dopo il voto, nel 1638, di Luigi XIII, che fa costruire un nuovo altare maggiore, ora splendido, la cattedrale diventa sempre più la chiesa della nazione e ne segue le vicende.
Crollato l’antico regime al tempo della rivoluzione, Notre-Dame nel 1793 viene dissacrata: in ottobre sono smantellati da un’impresa i «simulacri dei re di Francia» (in realtà, i re di Giuda), il 10 novembre 1793 ospita per la prima volta il culto della dea Ragione e, usata come deposito di vino per l’esercito, il 1° dicembre vi viene letta la Dichiarazione dei diritti dell’uomo.
Restituita al culto già nel 1795 dal Direttorio e sistemata alla meglio, il 2 dicembre 1804 la cattedrale è lo scenario della consacrazione imperiale di Napoleone, che viene unto con il crisma da Pio VII, descritto come una «vittima rassegnata, ma rassegnata nobilmente». Ma è l’imperatore – che trasferisce dalla Sainte-Chapelle alla cattedrale la reliquia della Corona di spine, anch’essa salvata dall’incendio – a cingersi di una corona come quella di Carlo Magno. Pio IX declina invece l’invito di Napoleone III che nel 1856 lo vorrebbe a Notre-Dame per battezzare il figlio.
A organizzare la cerimonia è Eugène Viollet-le-Duc, che a soli trent’anni aveva ottenuto nel 1844 «il cantiere del secolo». L’architetto – sostenuto da Victor Hugo – lo porta avanti in modo creativo, sia pure criticato da molti, ripristinando il volto medievale di Notre-Dame, in gran parte reso irriconoscibile dagli algidi rifacimenti del XVIII secolo, e lancia il neogotico, espressione del risveglio religioso non solo francese. In modo stupefacente Viollet-le-Duc innalza tra il 1858 e il 1859 un’altissima guglia: arsa nel rogo come un gigantesco fiammifero e precipitata nella navata centrale in una pioggia di fuoco e di piombo, è stata rifatta identica.
Chagall ha immaginato la cattedrale che riceve l’inchino della Tour Eiffel in un blu onirico. E il restauro è riuscito in tempi brevissimi, opera collettiva di duemila compagnons tra ingegneri, architetti, artigiani che hanno anche ricostruito a colpi d’ascia l’enorme e antica «foresta», l’armatura in legno della volta ora ricavata da querce scelte in tutta la Francia. Come nel medioevo, l’impresa è memorabile. Finanziata da mecenati ma soprattutto da 340mila donatori privati, spesso con piccole somme non deducibili, la resurrezione di Notre-Dame mostra che l’eredità spirituale delle cattedrali cristiane europee parla ancora al cuore di molti.
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