Alle elezioni in Liguria l’affluenza si è fermata al 46 per cento. Tra pochi giorni il film potrebbe ripetersi in Emilia-Romagna e in Umbria, dove si voterà per le regionali. Perciò nella nostra redazione ci siamo chiesti se ci stessimo assuefacendo alla progressiva erosione del corpo elettorale, se ci stessimo abituando anche al pianto del giorno successivo per la mancata partecipazione, ai grandi editoriali sull’astensionismo, all’indignazione che dura giusto un paio di giorni.

Il problema è molto serio: per vincere le elezioni può bastare convincere una minoranza del 20-25 per cento  degli aventi diritto. Una debolezza intrinseca, strutturale, che espone ad abusi e a rischi per la tenuta della democrazia. Proprio perché la domanda lascia spazio a svariate risposte e argomentazioni, abbiamo pensato di estenderla alle nostre e ai nostri abbonati iscritti alla newsletter Oggi è Domani: abbiamo chiesto loro se andassero o meno a votare, domandando di motivare tale scelta. In tanti hanno risposto dando vita a un dibattito vivace e sfaccettato. 

Le risposte dei lettori

  • «Sono elettore in Sardegna, dove esiste dal 2014 (dieci anni!) una legge elettorale formalmente proposta da un governo regionale di centrodestra, ma in realtà approvata da una maggioranza bipartisan che blinda al 10 per cento la quota da raggiungere per le liste fuori coalizione per ottenere la rappresentanza. Decine di migliaia di elettori, quanti ne bastavano prima del 1993 per eleggere non un consigliere regionale, ma un deputato, sono rimasti a più riprese senza rappresentanza. Le elezioni sarde, tanto celebrate per la vittoria (peraltro in termini estremamente esigui) del cosiddetto campo largo, sono in realtà la sagra del voto utile (oltre che di quello di scambio, come sono sempre state). Unica alternativa sono voti testimoniali, come quello che ho dato l’ultima volta, ma la cui utilità è assai dubbia anche perché difficilmente danno vita a schieramenti permanenti e radicati.
    Elezioni effettuate su norme fatte per favorire grossi schieramenti sempre meno dissimili fra loro, senza possibilità di esprimere nemmeno un voto di preferenza, non sono attrattive. Non mi pare che agli schieramenti in questione, entrambi, interessi cambiare queste norme, che sono fatte a misura degli interessi dei loro gruppi dirigenti.
    Per chi storicamente non si riconosce nella destra o in quella post-DC che è il centrosinistra a trazione Pd, non esistono alternative credibili. Tali non sono in alcun modo le cosiddette liste di centro, né Avs che del Pd è una pessima appendice subalterna. Alle ultime europee, per le quali volevo assolutamente evitare di astenermi, mi sono dovuto ridurre a votare una (pur ottima) candidata dal Pd, dovendomi vergognare di essere costretto a dare il voto a uno schieramento la cui natura e operato ritengo opposti alle mie concezioni e interessi... Penso sia stata l’ultima volta in vita mia che sono entrato in un seggio elettorale».
  • «Ho ricominciato a votare qualche anno fa, ma per un lungo periodo sono stata fra coloro che non hanno votato. Nel tempo però mi sono resa conto che il non votare dava spazio ad elementi politici che consideravo e considero ancora oggi pericolosi. Il problema di allora e di oggi è che non mi sento rappresentata da nessun partito e tendo a votare solo nel tentativo di creare un contrappeso agli estremismi e alle polarizzazioni. L’assenteismo fa vincere gli estremisti e fa molto comodo a chi vuole il paese polarizzato e diviso in due fazioni per poterlo controllare meglio. Di questo forse mi sono resa conto troppo tardi. Buon lavoro a voi e complimenti per il vostro lavoro».
  • «Voto perché voglio scegliere e perché conosco i miei limiti e quelli di chi mi rappresenta, considero chi non vota un danno per la nazione e penso che qualcuno dovrebbe dirlo invece di buttare sempre la croce addosso ai politici, indistintamente. È facile dire “sono tutti uguali”, e tu?».
  • «Io vado sempre a votare, ma ho tanti amici che non lo fanno e onestamente li capisco. Troppo spazio alle logiche di partito, a far andare avanti le persone vicine a Tizio o a Caio, etc..».
  • Chi non vota lo ritiene del tutto inutile, almeno per il loro vivere quotidiano: che si voti nero, rosso o bianco poco o nulla cambia. E come dare torto visto l’indecente spettacolo che i politici inscenano? Certo non tutti, credo e spero che una certa parte si impegni alla Berlinguer, ma è una minoranza che fatica a ottenere qualcosa, e quindi anche la credibilità, nel clima da caciara generale che volutamente domina la scena. E tutto ciò è veleno puro per la democrazia che, per affermarsi e rafforzarsi, richiederebbe confronti di idee e proposte seri e realistici, fra parti rispettose del bene comune, fare appunto politica, possibilmente “buona”. E purtroppo, basta guardare le vicende correnti per capire che invece i tempi peggiorano rapidamente. I principali generatori della caciara (i caciari) sono veri cavalli di troia per la democrazia, peraltro democraticamente eletti, quindi veri ipocriti malfattori. E poiché in natura non ci sono vuoti, il degrado di una democrazia avvelenata (bloccata nel suo operare) porta a una inevitabile autocrazia, che alla bisogna, potrebbe evolvere in puro fascismo (la storia insegna). E poi arrivano i vari Elon Musk, vanagloriosi miliardari super tecnologici, produttori di tecno-strumenti finalizzati al controllo e governo delle masse, sostitutivi dei vecchi manganelli di un probabile imminente moderno fascismo tecnologico. Di fronte a tutto ciò, non mettere più una scheda in un’urna, potrebbe essere anche estremo atto di ribellione: non ci sto più, per rispetto della democrazia non voto questa caciara. Certo soluzione più realistica sarebbe non votare almeno chi fa caciara ma, vista la vittoria di Trump, non pare soluzione oggi percorribile...».
  • «Andrò a votare, come ho sempre fatto: votare è un dovere prima ancora di un diritto! Quanto all’astensione credo si tratti soprattutto di cittadini che non vogliono votare a destra, ma sono stufi dei programmi cerchiobottisti della sinistra. Per vincere la sinistra deve fare una scelta di campo netta, indicare a chiare lettere come risolvere le disuguaglianze sempre più evidenti nella popolazione: patrimoniale, tassazione progressiva, prelievo dell’Iva alla fonte, sostegno alle imprese che investono e non distribuiscono i dividendi, politiche industriali all’insegna del rispetto dell’ambiente, politiche migratorie di inclusione, sanità pubblica efficiente, investimenti massicci nell’istruzione e nella ricerca, politiche di sostegno al lavoro, soprattutto quello povero. Giustificare l’ignavia dei programmi e delle proposte con la scusa di recuperare i voti del centro è un errore esiziale! Il centro non esiste! Esistono elettori che hanno paura del cambiamento e vogliono che tutto resti uguale, anche a costo di perdere l’anima, ed elettori che al cambiamento ci credono, lo desiderano fortemente, ma non si sentono rappresentati da leader balbettanti».
  • «Io voto, voto perché è giusto farlo, perché il voto è la base della democrazia, ma negli ultimi anni raramente il mio voto è stato un voto convinto. C’è chi non vota per ignoranza, chi non vota perché non si sente rappresentato da nessuno, ma la motivazione principale è la sfiducia nella classe politica: “tanto non cambia nulla”. Chi governa in Italia non fa gli interessi del paese, la destra fa gli interessi solo delle lobby che rappresentata (non di chi li ha votati), e la sinistra ossessionata dalla ricerca del consenso, ha cercato di accontentare un po’tutti senza attuare una politica seria di cambiamento».
  • «Non votano più perché la politica è percepita distante dai reali problemi del paese. Inoltre, in un clima di incertezza così marcata sul futuro dei grandi e dei piccoli si preferisce stare in branco con qualcuno che ha idee simili alle sue, così ci si sente protetti. Difficilmente si riuscirà a invertire il trend se non con argomenti che riguardano la pancia».
  • «Ho sempre votato perché è un diritto dovere. Oggi si vota sempre meno perché la politica è diventata fumosa, gli schieramenti sono sovrapponibili a parte alcune differenze. Insomma, manca un progetto sociale ed economico che possa motivare al voto. Infine, prevale l’interesse individuale su quello collettivo già da molti anni, a partire dall’era Berlusconi. Nemmeno il rischio di un’involuzione autoritaria mobilita gli elettori, perché sono diffuse ignoranza e disinformazione».
  • «Perché le persone sono più superficiali individualiste e narcisiste. Criticano i politici cercando un ideale senza chiedersi come mai loro stessi non riescono a governare le loro famiglie e i loro figli. Proiettano fuori i loro problemi perché risolverli è faticoso e bisogna staccarsi dai cellulari. Una volta tanto bisogna pure che la campana suoni anche per i cittadini».
  • «Perché la legge elettorale non permette di portare al governo e anche prima in parlamento i rappresentanti di lista. Siamo prigionieri di un’oligarchia. Desidero un paese con forte potere parlamentare ed un esecutivo che esegue».
  • «Non voto perché nel periodo elettorale mi trovo fuori regione per assistere mia moglie disabile e non posso permettermi di rientrare a casa per il voto. Mi piacerebbe molto che, come per i fuorisede, si potesse votare a distanza. Non votare mi pesa molto…Sembra impossibile che nel 2024 non si possa votare a distanza».
  • «Io ho sempre votato e sempre voterò, se ci sarà un’effettiva democrazia. Non mi piace molto essere compreso in una seconda persona plurale come nell’interrogativo iniziale “perché non votiamo più?” o nelle righe qui sopra “ci stiamo assuefacendo... abituando” perché nelle diverse masse di italiani a cui ci si riferisce include anche chi da quelle certe masse si differenzia. La questione è molto seria, urgente e importante. La causa prevalente dell’astensione deriva dal sentirsi delusi o traditi dalla “politica”, di solito aggiungendo “che tanto è tutta uguale” e “che fa quello che vuole”. Penso che questo sia opinione comune e che lo pensiate anche voi. Quello che, secondo me, non viene mai abbastanza affermato/spiegato/discusso/evidenziato è innanzitutto che non esprimere il voto significa autorizzare "la politica" a "fare quel che vuole" e dunque a farsi sempre più “tutta uguale”, o nell’avidità di denaro o di potere, cosa che era esattamente ciò per cui chi vota-va aveva smesso di farlo proprio perché non voleva che accadesse. Questo evidenzia a sua volta il fatto di infliggere sofferenze a sé stessi, come nel classico masochismo morale. Quello stesso masochismo che un tempo – come oggi – spinse tanti italiani ad aderire o a non opporsi al fascismo; in secondo luogo, che il masochismo, in forme così realiste e accentuate, è una malattia che si può curare».
  • «La politica non dà risposte concrete ai problemi delle persone: da una parte, a destra in genere, c’è solo demagogia, a sinistra si elencano le problematiche ma sul da fare concreto c’è troppa vaghezza. Inoltre, viviamo in un periodo in cui le persone sono per lo più disinteressate alle questioni diciamo “ideali”, come la giustizia, il superamento delle differenze razziali, il contrasto ai cambiamenti climatici e via dicendo».
  • «Io vado raramente a votare perché lavoro in una città diversa dalla mia residenza e spesso non ho la possibilità economica/temporale di recarmi dove ho la residenza solo per questo scopo. Penso che con la possibilità di votare da dove lavoro lo farei molto più spesso (se non sempre)».
  • «Non va a votare chi non ha più speranza».

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