L’ex premier: «Il declino dei progressisti non è un destino. Usa e Nato sulla Russia hanno commesso errori». Su Schlein: «Sta facendo bene. Conte? Ingiustamente aggredito. Renzi va coinvolto, non ho più rancori»
«La vittoria di Donald Trump è, fra le altre cose, l’espressione della crisi del mondo occidentale, che progressivamente vede erodere la sua centralità. La destra risponde: noi fermiamo il mondo, vi proteggiamo, mettiamo i dazi. È realistico? No. Però parla alla paura di una società che si vede sorpassata». Massimo D’Alema, già presidente del Consiglio, già ministro degli esteri, già molto altro, oggi semplice «osservatore» – si schermisce – descrive la grande frana. Eppure, dice, il trumpismo non è la fine della storia.
I democratici hanno perso il voto dei loro ceti sociali. Che hanno votato un supercapitalista.
Qui da noi non usa studiarsi i dati elettorali: i democratici hanno subito un crollo di milioni di voti, ma Trump ha sostanzialmente mantenuto i suoi di quattro anni fa. Il partito democratico è stato punito, ha deluso, le città universitarie hanno disertato il voto o votato candidati minori. Bisogna chiedersi perché: il tema dell’inflazione, e soprattutto quello della guerra.
La sinistra ha perso per sempre quei ceti?
Non è un destino. Oggi la questione è come riuscire a mobilitare una coalizione sociale in grado di tenere insieme le élite intellettuali che votano per il campo progressista in quasi tutto il mondo occidentale, con i ceti che vivono un bisogno di protezione. L’Occidente vive un progressivo declino, innanzitutto demografico. Di qui alla fine del secolo rappresenterà il 10 per cento dell’umanità. Dopo la Prima guerra mondiale l’Europa rappresentava il 26 per cento dell’umanità e produceva più della metà della ricchezza del mondo. Oggi siamo al 7 per cento e produciamo intorno al 15 per cento della ricchezza. E il declino è vissuto con paura, con l’idea che si possa fermare il mondo, che lo si possa deglobalizzare. Illusioni pericolose.
Meglio arrendersi al declino?
Non credo si possa cambiare il trend demografico, malgrado gli appelli alla natalità di Meloni. Ci si può dare, per esempio in Italia, le condizioni per assorbire 200mila immigrati all’anno. Mi rendo conto che governare l’immigrazione è difficile, ma i numeri sono spietati. Invece abbiamo un governo che affitta navi da guerra per portare otto persone in Albania, quando Confindustria dice: o fate arrivare 100mila persone o chiudiamo le aziende. Una schizofrenia inquietante. Una previsione dell’andamento dell’economia mondiale di qui al 2075, di Goldman Sachs, dice che si consolida il primato cinese. L’India è seconda, gli Usa terzi. Per trovare un paese europeo si deve scendere giù, alla serie B.
L’Occidente declina, in tutta Europa la sinistra è in crisi. Ripeto la domanda: può ritrovare il consenso nelle società occidentali?
Intanto l’Italia è un caso diverso. Trump ha preso più voti, da noi Meloni ha vinto politicamente. Alle politiche, le opposizioni hanno preso un milione di voti in più. Poi, certo, nessuno ha risposto della responsabilità di non averle messi insieme. Quanto all’Europa, la sinistra si articola in forme diverse. In Francia, sia pure nelle sue divisioni, ha dimostrato consistenza. Semmai è scomparso il centro, un fenomeno non solo francese, anche se qui da noi si fatica a prenderne atto. Oggi la polarizzazione delle differenze sociali, la crescita delle diseguaglianze, l’impoverimento di strati medi hanno cambiato la configurazione della società. Il sentimento della paura e il disagio sociale ha radicalizzato il ceto medio. È una sfida complessa, le tradizionali condizioni di forza della sinistra non ci sono più: una base operaia, coesa e professionalizzata, e il fatto che lo Stato disponeva delle risorse per mantenere un patto sociale e ridistribuire le risorse. La globalizzazione ha colpito i fondamenti di questo compromesso. Ma la sinistra può muovere temi vitali. Il rapporto fra sviluppo, condizione umana e ambiente. E, a mio giudizio, non dovrebbe lasciare alla destra la parola d’ordine della pace: un errore strategico anche della sinistra americana. Fra le domande di protezione dei cittadini c’è il no alla guerra.
Chi vuole la pace deve essere contento che ha vinto Trump?
Io non sono contento. Ma sarei contento se finissero le guerre. Penso all’Ucraina: non è in dubbio la responsabilità di Putin. Ma è anche vero che siamo arrivati al conflitto perché l’Occidente, e gli Usa in primo luogo, hanno scelto una politica sbagliata verso la Russia: l’idea che la sicurezza in Europa si garantisca solo con l’espansione della Nato, senza cercare un nuovo equilibrio. Quando eravamo al governo la Nato propose di dispiegare un sistema antimissile che avrebbe alterato l’equilibrio europeo, noi e i tedeschi abbiamo detto no. È stato un errore far crescere in Russia un sentimento nazionalista, che ha prodotto la classe dirigente che ha portato fino all’invasione dell’Ucraina. Le guerre sono sempre una tragedia, ma se possono essere una soluzione, a volte sono inevitabili. Questa guerra invece non la può vincere nessuno. Sento leader europei dire “vinceremo la guerra contro la Russia”: una sciocchezza. La Russia è una potenza nucleare, non si lascerà sconfiggere. Non perché c’è Putin, ma perché sono russi: ma quali libri hanno letto da ragazzi questi nuovi governanti? Siamo pronti a usare il nucleare? No. Quindi: l’Ucraina non sarà mai sconfitta perché non sarà lasciata sola dalla Nato, la Russia non perderà. Serve che torni la politica.
L’Europa è in grado di proporre una soluzione negoziata?
Il problema è la fragilità della classe politica europea. Il miracolo economico tedesco che ha trainato l’Europa si fondava sulla collaborazione con la Russia sulle materie prime, e sulla collaborazione industriale con la Cina. Il conflitto in Ucraina e il rilancio della politica di ostilità verso la Cina ha troncato tutto. La Germania si è fermata, e tutta l’Europa con lei. Paghiamo un prezzo altissimo a questa guerra. Gli Usa crescono, perché la guerra alimenta la grande industria americana; la Russia regge, anzi cresce, malgrado le sanzioni; la Cina è danneggiata ma cresce. L’Europa è ferma: dovrebbe guardare ai suoi interessi fondamentali. Non sembra in grado di farlo.
Durante la guerra del Kosovo noi non smettemmo mai di cercare una soluzione politica. Alla fine convincemmo gli americani a trovare una soluzione per il dopo-guerra accettabile anche per la Serbia, puntammo su Rugova, un pacifista, non su un estremista. Clinton dovette accettare. C’era la guerra, ma l’Europa c’era, e c’era la politica. Anche allora c’erano quelli che dicevano “dobbiamo vincere la guerra”.
Cosa è rimasto oggi dell’Onu?
L’Onu ha perso qualsiasi efficacia. Nell’Ucraina e poi in modo terrificante nella tragedia mediorientale. Altro tema cruciale: perché una delle ragioni della perdita di ruolo del mondo occidentale è che nessuno più accetta la nostra doppia morale. Quando Putin è andato in Mongolia, l’Ue ha protestato perché Putin è considerato un criminale di guerra dalla Corte penale internazionale. Ma è la stessa condizione di Netanyahu, che però pochi giorni dopo ha parlato nel Parlamento americano. Il mondo ci guarda: se noi stessi non rispettiamo i nostri valori, è peggio del declino economico, è una sconfitta morale.
Realisticamente: cosa si può augurare la sinistra italiana?
In Italia, la destra sta mostrando tutte le sue debolezze nel governo del paese. Nel paese ci sono tutte le condizioni perché una coalizione democratica vinca le elezioni. Certo è responsabilità di chi guida queste forze politiche trovare la strada della coalizione. Da questo punto di vista apprezzo lo spirito unitario con cui si muove Elly Schlein. Fa bene. Spero che anche altri capiscano.
E qual è lo spirito di Conte?
Conte ha i suoi problemi con il suo movimento, ma viene spesso ingiustamente aggredito. Si è trovato alla testa di un movimento che teorizzava il superamento della destra e della sinistra, una grande operazione populista, un tentativo di scardinamento del sistema politico italiano. L’operazione però non ha retto, e lui ha collocato ciò che è rimasto del M5s nel campo progressista. È un merito. Dovrebbero dargli una mano, non è sensato dargli calci negli stinchi. Se le forze del centrosinistra avessero la stessa disciplina di quelle della destra, vincerebbero sempre. Avrebbero vinto anche in Liguria.
Però lì andava imbarcato Renzi.
Perché no? Vede, è la saggezza della maturità, ho abbandonato ogni dissapore personale. Io sarei partito diversamente, avrei detto: discutiamo di una base comune sul futuro del paese, e delle regole dello stare insieme. Definito questo, chi ci sta ci sta, senza esami del sangue. Io sono andato da Dini a chiedergli di presentare una lista. I governi italiani dal 1995 al 2001, da Dini a Amato, sono nati dalla pazienza di mettere insieme persone diverse, anche non facili da tenere insieme. Una classe dirigente lavora per costruire una coalizione dei migliori. Se mi fossi presentato al Consiglio dei ministri con un fascicolo vuoto, come mi sembra succeda adesso, mi avrebbero preso a calci. Avevo di fronte Ciampi, Dini, Amato.
Intende non Lollobrigida?
Intendo che la responsabilità di un presidente del consiglio è scegliere le persone più solide.
È ancora possibile che una sinistra popolare vinca su una destra populista?
Sì, se il campo democratico si unisce e trova il senso di una comune responsabilità. Ma la sinistra è popolare o non è. La grande sfida in tutto il mondo è ritrovare le vie per una ridistribuzione della ricchezza. Biden ha ottenuto risultati importanti dal punto di vista economico. Ma la crescita economica, se non ridistribuisce la ricchezza, non allevia il disagio sociale. E si perdono le elezioni. È un nodo complesso, ci vuole coraggio perché ormai la ricchezza si è talmente accumulata in una minoranza ristretta da essere diventata potere, basta pensare al ruolo di Musk. Ma sfidare questo potere è la sfida della politica, e della sinistra, se entrambe vogliono tornare a contare nel mondo di oggi.
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