La premier ha polemizzato con chi ha parlato di «estate difficile», come ha fatto Domani. Ora la aspetta il nodo del commissario europeo, in vista della complicata legge di Bilancio
È tornata, anzi Giorgia Meloni è «ricomparsa» come ha annunciato nel video pubblicato sui social. «Richiamate tutte le unità, sono a palazzo Chigi», ha detto, sfoderando un’ironia irritata nei confronti di chi ha osato chiedere perché fosse sparita dai radar. Forse si trovava ancora in Puglia, alcuni sostengono fosse andata in Sardegna. Chissà.
Ora almeno il gioco a nascondino, o all’acchiaparella in base alle preferenze, è finito con il suo «eccomi qua» pronunciato con la stessa teatralità di un prestigiatore. Peccato, però, che ci sia poco da giocare. Basta scorrere l’agenda politica per capire che non è tempo per spavalderie sopra le righe.
Di sicuro Meloni è tornata tra noi, dopo settimane di relax, con una faccia nuova e riposata dopo il ristoro in Valle d’Itria prima della fuga e del successivo nascondino.
Ma se solitamente le vacanze hanno una funzione balsamica e rasserenante, la presidente del Consiglio si è materializzata con i soliti nervosismi verso chi ha osato evidenziare le mancanze del governo.
La difficile estate
Nel filmato ha polemizzato infatti con alcuni osservatori, rei di raccontato «la difficile estate di Meloni», come hanno fatto vari media, tra cui Domani. Eppure sono i fatti a dirlo, non la «stampa di sinistra». Prima il presunto complotto verso la sorella Arianna Meloni, che ha agitato la destra, facendo trasudare uno stato di agitazione. Ma oltre agli eventi immaginari, ci sono fatti concreti che hanno lasciato inevitabili strascichi, a cominciare dalle inchieste di Domani sull’acquisto della sede di Acca Larentia, che hanno svelato il ruolo decisivo della fondazione di An.
La fondazione, in cui sono presenti proprio Arianna Meloni e il vicepresidente della Camera Fabio Rampelli, ha messo a disposizione 30mila euro per consegnare l’immobile a un’associazione di estrema destra. Un altro problema per Meloni è interno alla maggioranza con lo scontro quotidiano tra gli alleati, Forza Italia in testa. Su tutti svetta lo Ius scholae, chiesto da Antonio Tajani, costringendo alcuni big del partito della premier, come il capogruppo alla Camera Tommaso Foti, a frenare.
A seguire c’è stata la riapertura della battaglia sull’autonomia differenziata, che ha richiesto una serie di interventi da parte dei leghisti. A cominciare dall’intervista di Roberto Calderoli al Corriere della Sera per smorzare le tensioni sul testo.
Un’estate difficile, dunque. Ma la leader di Fratelli d’Italia l’ha buttata sulla retorica. «Le estati difficili sono quelle di altri. Di chi, per esempio, le vacanze non ha potuto farle», ha scandito. E ci mancherebbe. Rispetto ai cittadini privati del Reddito di cittadinanza o a chi non arriva alla fine del mese, la premier può dirsi fortunata. Da qui la promessa: «Voglio dire a tutti gli italiani, che farò buon uso di questa energia che ho potuto mettere da parte in questi giorni. Saprò farne buon uso». Dopo il riposo ci vorranno molte energie, davvero.
Commissario in attesa
La prima questione aperta è quella che riguarda la nomina del commissario europeo. Il nome di Meloni è quello del ministro con delega al Pnrr, Raffaele Fitto ma non è ancora stato indicato formalmente, anche se la scadenza è fissata per il 30 agosto.
In ogni caso, la quasi certa nomina di Fitto aprirà una ulteriore questione: assegnare le sue deleghe ministeriali ad altri o procedere a un rimasto. Con un caveat: ora il Pnrr entra nel vivo della realizzazione dei progetti e sarà un percorso tutt’altro che semplice, dopo i ripetuti avvertimenti della Corte dei Conti. Chi assumerà le deleghe, quindi, rischia di accollarsi più oneri che onori.
Non ci sono solo le nomine europee ma anche quelle in Rai. In bilico c’è la poltrona dell’ad Roberto Sergio ed è poi ancora aperto il nodo della presidenza, dopo l’addio di Marinella Soldi. Forza Italia vorrebbe che il posto venisse assegnato a Simona Agnes ma tutto, per ora, è sospeso perché manca l’accordo di maggioranza. Come se non bastasse, è necessario poi anche il rinnovo del cda, scaduto in luglio e in stallo sulla nomina dei quattro consiglieri in quota parlamentare.
C’è poi anche un nodo elettorale a cui Meloni guarda con preoccupazione. In autunno, infatti, si voterà in tre regioni: Liguria, Emilia Romagna e Umbria. Se l’Emilia Romagna è ancora considerata un baluardo “rosso” inconquistabile, nelle altre due regioni il centrodestra è guida uscente ma la riconferma non è scontata.
Per la Liguria, dove si vota a fine ottobre poco prima dell’inizio del processo all’uscente Giovanni Toti, la scelta sta virando verso la deputata di Noi Moderati, Ilaria Cavo. In Umbria, invece, andrà a caccia del secondo mandato la leghista Donatella Tesei e ad oggi viene data in vantaggio sulla sfidante. L’esito peggiore – una sconfitta tre a zero – però, è una preoccupazione concreta.
Nel frattempo deve ripartire anche il cantiere delle riforme, con il fronte della giustizia aperto sia per quanto riguarda la riforma costituzionale della separazione delle carriere che l’emergenza delle carceri. Il ministro della Giustizia, Carlo Nordio, punta a ripensare la custodia cautelare, ma con forti rigidità da parte di FdI e Lega.
Al palo, poi, è anche l’autonomia, formalmente approvata ma ancora bloccata dalla mancata approvazione dei livelli essenziali delle prestazioni e con i governatori del sud sul piede di guerra. Sono aperte sia la grana referendaria promossa dalle opposizioni che vola oltre le 500mila firme che i tre ricorsi costituzionali presentati da Toscana, Sardegna, Puglia e Campania.
L’autunno, infine, è la stagione della manovra di Bilancio. Entro il 20 settembre bisogna preparare il piano strutturale di bilancio. Poi, prima del 15 ottobre, tocca al documento programmatico di bilancio. I temi in agenda sono tanti, con Salvini che è tornato a chiedere quota 41 e Tajani che ha rivendicato l’aumento delle pensioni minime. Poi come sempre il piè di lista si allungherà a dismisura con l’avvicinarsi dell’Aula.
Il ministro Giancarlo Giorgetti ha però già messo le mani avanti: la sola conferma del taglio del cuneo fiscale costa quasi 12 miliardi l’anno. Su tutto il resto, i tagli sono dietro l’angolo. Le nuove regole del patto di Stabilità, infatti, impongono uno stop alle spese in deficit per finanziare gli interventi e la manovra 2023 è stata sostenuta in buona parte proprio con questa leva. I conti, dunque, quest’anno saranno molto complicati da fare e le tensioni si scaricheranno tutte sui rapporti tra le forze della maggioranza.
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