Da quasi dieci mesi si attende la pubblicazione del report con i dati del 2022 sull’applicazione della legge 194, che regola le interruzioni volontarie di gravidanza. Dopo le interrogazioni parlamentari della deputata Gilda Sportiello (M5s), scritte insieme a Federica di Martino del progetto “Ivg, ho abortito e sto benissimo”, nulla è cambiato.

Proprio per questo motivo, Sportiello e di Martino hanno deciso di presentare, insieme all’avvocata e co-fondatrice della campagna “Libere di abortire” Giulia Crivellini, una formale diffida ad adempiere al ministero della Salute.

Le motivazioni della diffida

Crivellini racconta a Domani che «il ministero della Salute non ha una facoltà, ma un obbligo di rendere pubblica la relazione di attuazione della legge 194. L’articolo 16 parla anche dello scopo di questo report, in termini di prevenzione». In questo momento «ci troviamo in una situazione di palese illegalità, da parte del ministero, per il mancato report sulla 194».

Dopo il lavoro parlamentare di Sportiello e le richieste della società civile, arrivate tramite di Martino, «stiamo valutando di agire dal punto di vista legale perché quello che aspettiamo è un report chiave. Lo faremo con una formale diffida ad adempiere a un obbligo legislativo. Il ministero della Salute è una pubblica amministrazione a tutti gli effetti, che ha obblighi nei confronti della cittadinanza. Uno di questi è quello di rendere pubblici e trasparenti gli atti che emette o deve emettere e renderli fruibili».

I cittadini hanno il diritto di «conoscere gli atti della pubblica amministrazione che abbiano un ruolo chiave per la propria vita» perché i dati sulla salute riproduttiva sono fondamentali. A fronte di questa omissione, continua Crivellini, «alla diffida ad adempiere allegheremo una richiesta di accesso agli atti. La legge prescrive che la pubblica amministrazione di riferimento verso la quale si fa la diffida abbia 30 giorni per rispondere. In caso di omissione di risposta, ci recheremo al Tribunale amministrativo regionale (Tar) e procederemo con un formale ricorso chiedendo ai giudici di obbligare il ministero alla pubblicazione dei dati».

L’appello

«Come società civile e come persone che lavorano dal basso anche insieme alle istituzioni per garantire il diritto all’aborto, diciamo che è demoralizzante interpellare ripetutamente Il ministero della Salute senza ricevere risposte. Dovrebbe essere una priorità e un compito istituzionale», dice di Martino.

I dati, infatti, sono strumenti che permettono di leggere il quadro della situazione «e operare manovre atte a garantire quello che dovrebbe essere un diritto, che nei fatti non lo è, che è il diritto all’aborto, e che evidentemente non è una priorità nell’agenda di questo governo. Non c’è la volontà politica di rispondere ai bisogni delle donne che scelgono di interrompere volontariamente una gravidanza».

Di Martino conclude con un appello: «Chiediamo che le associazioni e le realtà che si occupano di garantire il diritto all’aborto aderiscano a questa diffida, provando ad ampliare sempre di più la rete di voci della società civile che continuano a fare quello che dovrebbe fare lo Stato: noi garantiamo il diritto all’aborto e, facendolo, offriamo un servizio alle donne. Ma la nostra stessa esistenza è un atto di profonda accusa nei confronti di uno stato, di istituzioni e di presidi di sanitari manchevoli. Abbiamo bisogno di risposte e continueremo a chiederle».

La questione dei dati aperti

Sulla questione relativa ai dati, a tre anni dalle prime richieste delle giornaliste Chiara Lalli e Sonia Montegiove che avevano stilato il rapporto “Mai dati” e la “Mappa Obiezione 100” e che chiedevano di avere dati aperti e per singola struttura per capire se e come è applicata la legge 194, la situazione rimane critica. La mancanza di dati per singola struttura, completi e aggiornati, continua a rappresentare una violazione dei diritti delle donne. I dati ufficiali, infatti, sono vecchi e aggregati per medie regionali.

Anche sul sito dell’Associazione Luca Coscioni, infatti, si ricorda che l’ultima relazione del ministero della Salute sull’attuazione della legge 194 è stata pubblicata a ottobre 2023 con i dati definitivi del 2021, nonostante secondo la legge dovrebbe essere presentata al parlamento ogni anno «entro il mese di febbraio», come aveva raccontato Domani. Lalli e Montegiove hanno scritto, alcuni mesi fa, alle regioni chiedendo i dati per struttura e più aggiornati rispetto a quelli pubblicati dal ministero.

I dati inviati sono incompleti e a volte difficilmente consultabili. In più non tutte le regioni hanno risposto inviando i dati, di alcune quelli a disposizione sono del 2022 e del 2023.

«La nostra richiesta è sempre la stessa: pubblicare i dati aggiornati e per singola struttura. Per sapere com’è applicata la 194 e per poter davvero scegliere di andare in un ospedale o in un altro, dobbiamo avere delle informazioni aggiornate e non vecchie di tre anni e che riguardano le strutture, non le Asl o le regioni. A cosa ci serve sapere cosa succede in Umbria o nel Lazio? A niente. Ci serve sapere che cosa succede nella specifica struttura», hanno dichiarato Lalli e Montegiove.

E non basta sapere la percentuale degli obiettori di coscienza, «perché la valutazione deve considerare molte altre variabili, l’accessibilità delle informazioni, i tempi di attesa, i numeri di richieste, la mobilità, la garanzia del farmacologico e il regime ambulatoriale, come da disposizioni dello stesso ministero. Infine, sarebbe augurabile non ricevere più risposte che rimandano a siti dove i dati non vengono pubblicati come dovrebbero».

«Questo ritardo e la mancanza di dati per singola struttura sono una vera e propria violenza istituzionale – commenta la segretaria nazionale dell’Associazione Luca Coscioni, Filomena Gallo – che ostacola l’esercizio di un diritto fondamentale delle donne. La carenza di dati aggiornati e dettagliati ha conseguenze sulla qualità del servizio di interruzione volontaria della gravidanza e sull’applicazione della legge. Il diritto delle donne all’aborto è un diritto fondamentale. Chiediamo alle istituzioni di garantire l’accesso ai dati disaggregati e di rimuovere gli ostacoli che impediscono l’esercizio di un diritto tanto importante com’è quello alla salute».

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