Il premier israeliano sembra sempre più alle strette per il Qatargate: nemmeno 24 ore dopo aver nominato il nuovo numero uno dello Shin Bet (colpevole d'indagine sul caso che coinvolge due suoi fedelissimi), Bibi ha fatto marcia indietro. Intanto però l’Idf ha diffuso un avviso di evacuazione ai palestinesi di Beit Hanoun, avvisaglia di una nuova offensiva di terra nella Striscia
Per i più critici è una «farsa», per altri la riprova che Benjamin Netanyahu è schiavo dei social e tutt’altro che risoluto. La realtà è che il primo ministro israeliano ha compiuto una clamorosa marcia indietro, ritirando la nomina di Eli Sharvit, ex viceammiraglio della Marina, a nuovo capo dello Shin Bet, il servizio segreto interno, appena 24 ore dopo averla annunciata.
Forse è lo stress da doppio fronte: la guerra contro Hamas – costata finora oltre 50 mila vite palestinesi – e il conflitto con magistratura e servizi segreti, determinati a portare il premier a processo per il “Qatargate ebraico”, l’inchiesta per corruzione che ha già condotto all’arresto due suoi strettissimi collaboratori. Pur non essendo indagato, Bibi è stato già convocato come testimone nell’ambito dell’inchiesta.
Dubbi a Tel Aviv
Fin da subito, a Tel Aviv, negli ambienti della sicurezza e della politica, la scelta di Sharvit aveva suscitato dubbi. L’ex comandante della Marina non aveva esperienza nell'intelligence né conosceva l’arabo, un profilo inadeguato per dirigere lo Shin Bet (il Mossad è responsabile delle operazioni all’estero).
La verità è che Netanyahu ha cercato di riprendere il controllo di un apparato a lui ostile. Ostile non per ragioni politiche, ma per aver fatto il proprio dovere istituzionale. Seguendo una logica ormai comune a molti governi di destra in Occidente – da Trump a Orbán a Meloni – e ignorando il plateale conflitto di interessi, Bibi è andato avanti veloce per rimpiazzare Ronen Bar, a capo dello Shin Bet dal 13 ottobre 2021, licenziato a metà marzo con il voto unanime del governo.
La colpa di Bar? Aver avviato e diretto le indagini sul Qatargate israeliano.
Cerchio magico
L'inchiesta ha subito un'accelerazione quando due uomini del cerchio magico del premier, Yonatan Urich e Eli Feldstein (quest’ultimo ex portavoce), sono stati arrestati lunedì. Le accuse: contatti con agenti stranieri del Qatar, corruzione, frode, riciclaggio. L’elemento accusatorio indiretto grave è che Doha – con il consenso di Netanyahu – pur facendo da mediatore nei negoziati per il cessate il fuoco a Gaza, per anni abbia versato 30 milioni di dollari al mese a Hamas. Un’accusa politicamente devastante, anche se parallela al Qatargate: fondi destinati ufficialmente al nemico n.1 dello Stato ebraico sarebbero serviti anche per operazioni di influenza e corruzione ai vertici della politica israeliana.
Ieri il tribunale ha prorogato la detenzione di Urich e Feldstein fino a giovedì prossimo, per il «ragionevole sospetto» di possibili tentativi di ostruzione alle indagini. Secondo le prime ricostruzioni, uno degli indagati – insieme a un giornalista già interrogato – avrebbe sottratto documenti riservati da una riunione top secret del governo e li avrebbe consegnati ai media. Le informazioni diffuse avevano lo scopo di ridimensionare il ruolo dell’Egitto nei negoziati con Hamas, esaltando invece il contributo del Qatar, in particolare per la tregua e il rilascio di 59 ostaggi.
In questo scenario, Sharvit ha potuto godere del suo nuovo incarico per poche ore, prima che emergessero i motivi della marcia indietro di Netanyahu. Si parte dal marzo 2023, all’inizio delle proteste di massa contro la contestata riforma giudiziaria (risuona in Italia?) - definita dai media israeliani come un vero e proprio “colpo di stato” istituzionale – il viceammiraglio era stato visto a una manifestazione a Kaplan Street, a Tel Aviv, insieme a migliaia di cittadini.
A ciò secondo il Likud, il partito di Bibi, si è aggiunto il fatto che tempo addietro Sharvit aveva scritto un articolo critico nei confronti di Trump e delle sue politiche sul clima. Un’uscita poco opportuna, per i sostenitori del presidente Usa. Il senatore americano Lindsey Graham, tra i più fedeli alleati di Trump e vicino anche a Netanyahu, su X ha scritto: «La scelta di Sharvit è più che problematica», «gli amici israeliani dovrebbero cambiare rotta ed effettuare controlli più approfonditi».
Secondo alcune indiscrezioni, anche la moglie del premier avrebbe avuto un ruolo nella decisione finale, contribuendo al naufragio della nomina. «La guida dello Shin Bet non è un incarico qualsiasi da revocare dopo 24 ore per via di qualche protesta», ha dichiarato Yair Lapid, leader dell’opposizione. «Si tratta del cuore della sicurezza nazionale. Una decisione così affrettata è inaccettabile». E Benny Gantz: «Sotto la pressione dei tweet, il primo ministro ha dimostrato ancora una volta di piegarsi a logiche politiche, mettendo in secondo piano l’interesse del paese».
Bibi & Orban
Nonostante le enormi tensioni in casa, Bibi è da oggi in Ungheria invitato da Orbán, in spregio alla sentenza della Corte Internazionale di Giustizia che lo accusa di “crimini di guerra” e quindi passibile di arresto. Forse a Budapest i veri professionisti gli daranno nuove idee su come combattere il “deep state” che a Tel Aviv lo sta assediando da tutte le parti, più dei razzi sparati da Hamas.
Un tragico doppio binario: guerra civile interna, e guerra sempre più cruenta sul campo. L’Idf continua a prepararsi per un'invasione terrestre su larga scala di Gaza, e forse per uno scenario in cui potrebbero essere attaccati gli impianti nucleari dell’Iran, con l'aviazione israeliana eventualmente appoggiata dalla US Air Force.
Dopo il lancio di razzi dal nord di Gaza verso Sderot, le forze armate israeliane hanno diffuso un avviso di evacuazione rivolto alla popolazione palestinese residente nell’area di Beit Hanoun. In un post pubblicato su X, il portavoce dell’Idf in lingua araba, colonnello Avichay Adraee, ha allegato una mappa che mostra la zona da evacuare, evidenziando anche l’ampliamento della fascia di sicurezza lungo il confine con la Striscia. Il messaggio è chiaro: è "l'ultimo avvertimento" prima di un attacco via terra da parte dei carri armati israeliani.
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