Missione lampo in Giordania e Libano. Incontro con il premier Mikati e con il presidente del parlamento Berri. Obiettivo: rafforzare i caschi blu. Ma serve la volontà politica di Israele
Missione lampo in Giordania e Libano, per la premier Giorgia Meloni, primo capo di governo a visitare Beirut dall’intensificarsi degli attacchi israeliani sul Paese dei cedri alla fine di settembre.
Un viaggio che – nel giorno in cui Israele mobilita una nuova brigata di riservisti per il fronte libanese dove si contano 2.412 morti, 11mila feriti e un milione di profughi – punta soprattutto a salvaguardare la presenza e la sicurezza degli oltre mille soldati italiani della missione Unifil recentemente sotto attacco israeliano, a rafforzare gli sforzi diplomatici nella regione con i paesi arabi moderati, precursori degli Accordi di Abramo, arrivare a una tregua di 21 giorni in Libano e al cessate il fuoco a Gaza e al rilascio degli ostaggi israeliani del 7 ottobre.
E per mettere in chiaro che l’Italia, paese Nato a vocazione mediterranea, c’è con i suoi soldati e non farà le valigie dal Libano. Un primo test per formulare una politica estera nazionale, fin qui rimasta pedissequamente sotto le ali del potente alleato americano.
La presidente del Consiglio ha incontrato ad Aqaba il re Abdullah II di Giordania e a Beirut il capo della missione militare italiana in Libano, Colonnello Vitulano, il premier libanese Najib Mikati e il presidente dell’Assemblea nazionale, lo sciita Nabih Berri. Una missione delicata avvenuta mentre ciò che resta della dirigenza di Hamas confermava in un videomessaggio la morte del suo leader Yahya Sinwar e il capo dei miliziani a Gaza dichiarava che i prigionieri tenuti nella Striscia non saranno liberati finché Israele non cesserà gli attacchi e non ritirerà le sue truppe dall’enclave.
In questo contesto complesso la presidente del Consiglio Giorgia Meloni è atterrata all’aeroporto internazionale Rafic Hariri di Beirut, accolta dal presidente del Consiglio della Repubblica libanese Najib Mikati. La premier si è trasferita al Palazzo del Governo, Grand Sérail, per un incontro bilaterale con Mikati.
Meloni con le sue controparti ha fatto valere tre assi nella manica: l’Italia rappresenta il secondo maggior contributore alla missione di mantenimento della pace delle Nazioni unite in Libano (Unifil); la Missione militare bilaterale italiana in Libano (Mibil) fornisce supporto materiale e addestramento (che può aumentare) all’esercito libanese, chiave di volta della futura stabilità del paese; e, terzo punto, Meloni ricopre la presidenza di turno del G7. Un contesto esplosivo, quello libanese, dove, secondo il capo di stato maggiore dell’armata israeliana Herzi Halevi, Hezbollah avrebbe perso dall’inizio del conflitto 1.500 miliziani.
Attacchi inaccettabili
«Considero inaccettabile attaccare l’Unifil, tutte e due le parti devono garantire la sicurezza dei soldati. Sono convinta che Unifil debba essere rafforzata. Solo rinforzando la missione si potrà voltare pagina. Dobbiamo tornare alla missione originale di Unifil», ha detto la premier Meloni nelle dichiarazioni congiunte con il primo ministro del Libano Najib Mikati, dopo l’incontro bilaterale.
«Sono d’accordo con il primo ministro Mikati sulla necessità di una piena applicazione della risoluzione del Consiglio di sicurezza Onu 1701: a sud del fiume Litani non deve esserci altra presenza militare se non quella dell’Unifil e di Laf», ossia Lebanese Armed Forces, ha proseguito Meloni. Il tema è caldo. La settimana scorsa, l’Unifil – in cui sono dispiegati 10.000 caschi blu in totale – ha accusato le truppe israeliane di aver sparato «ripetutamente» e «deliberatamente» sulle sue posizioni.
Un carro armato israeliano è entrato nella base della missione, cinque caschi blu sono rimasti feriti e le postazioni militari hanno subito «molti danni», secondo fonti Onu.
Domenica scorsa il premier italiano ha detto al primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, in un franco colloquio telefonico che «attaccare» la forza di pace delle Nazioni unite in Libano era «inaccettabile». Posizione che non è piaciuta a Netanyahu che però continua a chiedere che la missione Unifil si ritiri o quanto meno si sposti più a Nord con il pretesto che Hezbollah si fa scudo delle basi Onu.
Meloni ha incontrato anche il presidente dell’assemblea libanese, lo sciita Berri, alleato di Hezbollah, e ha cercato la sua mediazione per tutelare l’Unifil e facilitare la proposta americana di una tregua. Alla fine avrebbe ottenuto il disco verde sulla tregua. «Sono venuta qui a ribadire l’impegno italiano per il cessate il fuoco. L’Italia con altri partner internazionali ha proposto un cessate il fuoco di 21 giorni. Mikati e Berri hanno aderito alla proposta, ora serve uno sforzo da parte israeliana», ha detto la premier Meloni in un punto stampa a Beirut, sottolineando che la «scomparsa» di Sinwar «può offrire la finestra per una stagione nuova, una finestra che deve essere colta da parte israeliana».
Per questo Meloni ha annunciato: «Ho intenzione di parlare con il premier israeliano Benjamin Netanyahu dopo la visita in Libano e Giordania».
L’incontro in Giordania
Meloni è arrivata a Beirut dalla Giordania dove ha incontrato il re Abdullah II con il quale ha discusso di «sforzi congiunti volti al cessate il fuoco a Gaza e al rilascio degli ostaggi israeliani», si legge in un comunicato stampa dei suoi servizi.
I due leader hanno ribadito la necessità di «un processo politico che porti alla soluzione dei due Stati», secondo la stessa fonte. Il re ha sottolineato «la necessità di rafforzare la risposta umanitaria a Gaza e garantire il flusso di aiuti medici e di soccorso alla Striscia, chiedendo di mantenere il supporto all’Unrwa per consentirle di continuare a fornire i suoi servizi sotto il suo mandato Onu».
Abdullah II ha poi «messo in guardia dai continui attacchi dei coloni estremisti contro i palestinesi in Cisgiordania, nonché dalle violazioni dei luoghi santi musulmani e cristiani a Gerusalemme». Il sovrano giordano «ha sollecitato un’azione efficace per creare un orizzonte politico per raggiungere una pace giusta e completa sulla base della soluzione dei due stati».
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