È una parola che pesa come una pietra. La Commissione speciale Onu che indaga sulle pratiche di Israele ha affermato che le politiche e le pratiche di guerra israeliane a Gaza sono «coerenti con le caratteristiche del genocidio». È questa la conclusione shock che non mancherà di provocare polemiche e reazioni di un rapporto anticipato ieri – verrà presentato lunedì all’Assemblea generale delle Naizioni Unite – sulla base delle inchieste svolte dal comitato stesso in merito alle pratiche israeliane, determinando che le vittime civili di massa e le condizioni di pericolo di vita sono «intenzionalmente imposte» dall'esercito ai palestinesi di Gaza.

Il comitato, istituito dopo il conflitto del 1967 (quando le guerre duravano 6 giorni) per monitorare l’occupazione israeliana dei territori occupati, ha anche affermato nel suo rapporto annuale che vi sono serie preoccupazioni sul fatto che Israele stia «usando la fame come arma di guerra» nel conflitto in corso da 13 mesi e stia conducendo un «sistema di apartheid» in Cisgiordania, compresa Gerusalemme Est.

Il comitato speciale è composto da tre Stati membri: Malesia, Senegal e Sri Lanka. Non è chiaro allo stato se questa posizione sia sostenuta da altri paesi membri del cosiddetto “Sud del mondo” o sia una fuga in avanti dei tre paesi.

«Dall'inizio della guerra, i funzionari israeliani hanno pubblicamente sostenuto politiche che privano i palestinesi delle stesse necessità richieste per sostenere la vita: cibo, acqua e carburante», ha affermato il comitato in un comunicato stampa. «Queste dichiarazioni insieme all'interferenza sistematica e illegale degli aiuti umanitari rendono chiaro l'intento di Israele di strumentalizzare le forniture salvavita per guadagni politici e militari», continua il comitato Onu.

Le conclusioni del rapporto, secondo cui Israele trattiene intenzionalmente gli aiuti dalla Striscia, usa la fame come arma di guerra ed è negligente nell'infliggere vittime civili, sono coerenti con altre condanne delle Nazioni Unite e umanitarie della condotta di Israele. Il termine «genocidio», tuttavia, è molto raramente applicato alla guerra di Israele a Gaza da qualsiasi organismo collegato alle Nazioni Unite.

Il governo di Tel Aviv non ha ancora dato risposta alle accuse del rapporto ma è nota l’ostilità dell’amministrazione israeliana verso l’Onu in generale e il suo attuale segretario generale delle nazioni Unite, Antonio Guterres, definito «persona non grata» e accusato da vari commentatori di essere troppo vicino alle esigenze dei Brics, il gruppo di paesi molto sensibile alle esigenze di Russia e Cina.

Durante l’ultima sessione annuale dell’Onu a New York a cui ha partecipato al Palazzo di Vetro anche il premier israeliano Benjamin Netanyahu quest’ultimo non ha esitato a definire l’Onu «una palude di antisemitismo», mentre numerose delegazioni di paesi arabi moderati disertavano l’aula in segno di protesta per la condotta della guerra a Gaza giunta al suo 405esimo giorno e dopo aver provocato 43mila morti.

Da ultimo i diplomatici israeliani hanno informato l’Onu all’inizio di questo mese che il governo di Tel Aviv avrebbe smesso di collaborare con l’Unrwa, la principale agenzia umanitaria che dal 1948 fornisce servizi di assistenza ai palestinesi, entro i prossimi tre mesi. L’accusa israeliana è che l’agenzia palestinese dell’Onu sarebbe pervasa di militanti di Hamas, l’organizzazione che ha ideato ed effettuato la terribile mattanza del 7 ottobre nel sud d'Israele, in cui circa 1200 israeliani vennero uccise e 250 prese in ostaggio e quindi tale agenzia non sia più una organizzazione da tutelare con le garanzie diplomatiche e che la sua sede di rappresentanza a Gerusalemme vada confiscata e distribuita ai coloni.

La questione dell’Unrwa

A questo proposito la Commissione speciale Onu che monitora sulle pratiche di Israele a Gaza ha inoltre condannato quella che ha definito «la campagna diffamatoria in corso contro l'Unrwa e contro le Nazioni unite in generale», nonché «la distruzione di uffici Unrwa e l'uccisione di membri del suo staff e di operatori umanitari» e ha denunciato la «crescente censura dei media e soppressione del dissenso in Israele dopo il 7 ottobre».

«È responsabilità collettiva di ogni Stato smettere di sostenere l'assalto a Gaza e il sistema di apartheid nella Cisgiordania occupata, compresa Gerusalemme Est», ha dichiarato ancora.

Cosa succederà ora? È probabile che il governo Netanyahu prosegua con i raid su Damasco, Libano e Gaza disinteressandosi delle accuse dell’Onu. L'agenzia siriana Sana ieri ha riferito di un raid israeliano nel quartiere Mazzé di Damasco, che ospita la sede delle Nazioni Unite e che ha provocato 15 morti. L'esercito israeliano ha confermato di aver attaccato a Damasco edifici e centri di comando della jihad islamica palestinese.

La proposta Borrell

Ron Dermer, ministro degli affari strategici di Netanyahu, è stato domenica scorsa a Mar-a-Lago, prima tappa del suo tour negli Stati Uniti, e ha detto a Donald Trump e Jared Kushner che Israele si sta affrettando a promuovere un accordo di cessate il fuoco in Libano. L'obiettivo di Israele sarebbe garantire una rapida vittoria in politica estera al presidente eletto disinteressandosi delle accuse dell’Onu.

E l’Ue? I governi europei sono molto divisi sull’atteggiamento da tenere nei confronti del governo di Tel Aviv, ma lunedì prossimo, in occasione del Consiglio degli affari esteri, l'Alto rappresentante per europeo Josep Borrell inviterà i ministri degli Esteri dell’Unione a valutare la sospensione del dialogo politico nell'ambito dell'accordo di associazione con Israele.

Un passo mai visto prima anche se non se ne farà probabilmente niente. 

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