Tutti applaudono, qualcuno canta, altri gridano «Viva Livorno». Quasi nessuno sa dove sia. Ma sanno che arriveranno in Italia, un luogo sicuro. Il racconto del giorno 10 a bordo della nave di Emergency
«Siete voi gli esseri umani. Non quelli che in Libia ci hanno picchiato e poi ci hanno lasciato soli nel Mediterraneo. Loro non sono esseri umani. Ancora qualche ora e saremmo affogati, c’era un buco nella nostra barca da cui continuava a entrare acqua», dice Adbel, nome di fantasia, in arabo.
La sua voce è calma, a riempire il suo volto stanco c’è un grande sorriso. Intanto tutt’intorno la folla dei naufraghi a bordo della Life Support applaude. Alcuni battono a ritmo le mani sui tamburi e cantano. Altri sventolano in aria i sonagli in legno. Qualcuno grida «viva il Capitano», altri «viva l’Italia», altri perfino «viva Livorno» anche se quasi nessuno sa dove sia.
È stato, qualche minuto prima, il comandante Domenico Pugliese a uscire dalla plancia di comando e a raggiungere i naufraghi nell’area aperta del ponte, tra i vestiti stesi ad asciugare al sole del mattino, per dare l’annuncio del porto sicuro di sbarco, da cui le 72 persone sulla nave di Emergency verranno prese in consegna dalle autorità italiane.
«Livorno», dice Pugliese, «è Livorno il porto che le autorità hanno assegnato alla Life Support. In cui potrete sbarcare. Arriveremo nella mattinata di lunedì 4 novembre». Mentre Yassin Ramadan Afa, il mediatore culturale procede con la traduzione in arabo, già iniziano gli applausi di chi, soprattutto fra i siriani, conosce bene l’inglese grazie alle migliaia di video guardati sui social e su YouTube.
Ma il comandante va oltre la burocrazia. Non si limita a informare i passeggeri: «Siete felici di essere qui?» Gli chiede. «Perché noi siamo molto felici di avervi con noi. Sappiamo che scappate da guerre, violenza e sofferenza. Non siamo d’accordo con questo e ci dispiace molto. Ma ora avete un’opportunità che tanti altri non possono avere. Usatela, impegnatevi per realizzare i sogni che vi hanno dato la forza di arrivare fin qui», suggerisce Pugliese, prima di dare le ultime informazioni relative allo sbarco: «Mi raccomando cooperate con il team Emergency, è grazie al loro lavoro se siete al sicuro, e pian piano potrete sbarcare in Italia con facilità».
Ramadan Afa non ha neppure il tempo di finire la traduzione del discorso del comandante che Abdel è già arrivato al megafono tra gli applausi, le grida di gioia e di festa. Sorride, appunto, vuole ringraziare la Life Support: «Inshallah» dicono i compagni che gli stanno attorno non appena finisce di parlare. Subito dopo la folla di naufraghi si accalca vicino alla cartina dell’Italia, appoggiata a una delle pareti del ponte scoperto, per capire dove si trova Livorno e come fare da lì a muoversi per il Paese o a raggiungere amici e parenti che vivono già in Europa.
La maggior parte dei naufraghi fa scorrere il dito sulla cartina ben oltre i confini italiani, qualcuno indica l’Austria, altri Germania, altri ancora arrivano a puntare più in alto, fino alla Scandinavia. «Ma il governo italiano ci aiuterà a raggiungere i nostri familiari in altri Stati?», chiede Zayna, ha 44 anni, il marito che da tre anni vive vicino Berlino e vorrebbe finalmente raggiungerlo: «Non ho più il telefono ne i soldi che mi ero portata, non ho più niente con me», confessa: «Sono rimasti nella barca in mezzo al mare». Le si riempiono gli occhi di lacrime mentre ci ripensa.
Ad interrompere la tristezza del momento, però, arrivano subito i mediatori culturali, Ramadan Afa e Chiara Picciotti: «Ora vi spieghiamo quali sono le procedure da seguire per la richiesta di protezione internazionale. Sedetevi qui e ascoltate bene», dicono con tono fermo ai naufraghi. Che, in attesa di capire come sarà la loro vita dal 4 novembre in avanti, si siedono curiosi sulle panche in ferro, uno accanto all’altro, in silenzio, con lo sguardo rivolto verso i mediatori. Come se fossero in classe, a scuola. Ma con gli occhi pieni di speranza.
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