Le recenti dichiarazioni del ministro della Cultura Alessandro Giuli, bollate come «incomprensibili» dai media italiani, nascondono in realtà una serie di richiami molto precisi all’ideologia della destra esoterica: dietro il linguaggio «criptico» si trovano riferimenti evidenti. Tra questi spicca il pensiero di Julius Evola, pensatore tradizionalista e punto di riferimento per numerosi movimenti neofascisti, molto amato dal ministro.

La superficialità con cui le sue affermazioni sono state trattate dai media rivela un’incapacità preoccupante di riconoscere e contrastare la diffusione di idee potenzialmente antidemocratiche nel discorso pubblico. Questa reazione non denota soltanto una mancanza di approfondimento e di cura, ma rappresenta un segnale molto pericoloso di disattenzione verso contenuti che meriterebbero - oltre alla giusta satira - un’analisi seria e un immediato innalzamento della soglia di attenzione.

Evola tra pensiero solare e spirito Mediterraneo

Giuli, con i suoi riferimenti al «pensiero solare» e allo «spirito Mediterraneo», non si sta tanto dando un tono con parole altisonanti. Sta, soprattutto, attingendo a un bacino ideologico preciso, quello del tradizionalismo integrale, di cui Evola è stato il massimo esponente italiano.

Un filosofo affascinante e controverso, Evola, che propugnava una visione del mondo elitaria e aristocratica, capace di «spietrificare la realtà, fluidificarla, farne magma», per usare proprio le parole di Giuli, in netta opposizione ai valori democratici e liberali della modernità. Auspicava un ritorno a una società gerarchica guidata da un’élite spirituale, capace di incarnare i principi eterni della Tradizione - quella con la T maiuscola.

Per Evola, il “pensiero solare” rappresentava la luminosità della conoscenza superiore, la forza trascendente che ordina il cosmo e l'esistenza umana. È un simbolo di potenza, chiarezza e dominazione spirituale, in contrapposizione al “pensiero lunare” o “tellurico”, associato alla passività, al caos e alla materialità, tipici del nostro tempo degenerato.

Lo “spirito Mediterraneo” era per il pensatore romano l’incarnazione delle antiche civiltà greco-romane, portatrici di una saggezza perenne e di un ordine sociale basato su valori aristocratici e guerrieri, capaci di ribaltare il contemporaneo. Il Mediterraneo diventa così il fulcro di una tradizione spirituale che si oppone alla decadenza moderna e all’appiattimento culturale causato dalla globalizzazione, dalla corruzione e dall’omologazione dei costumi.

Il mito come strumento politico: recuperare Furio Jesi

Ma perché dovremmo preoccuparci di questi riferimenti? La risposta la forniscono gli studi di Furio Jesi, in particolare il suo monumentale Cultura di destra, che evidenzia come la destra radicale utilizzi miti, simboli e linguaggi specifici per veicolare idee profondamente reazionarie e, non di rado, pericolose per la tenuta della democrazia.

Nel contesto dei discorsi di Giuli, l’utilizzo di concetti come il «pensiero solare» e lo «spirito Mediterraneo» rappresentano un’operazione di mitopoiesi, ossia la riattivazione di simboli del passato per costruire una narrazione identitaria e spirituale che legittimi una visione del mondo tradizionalista. Jesi introduce il concetto centrale di macchina mitologica, un meccanismo attraverso il quale la destra esoterica crea, manipola e diffonde miti per influenzare il pensiero collettivo.

Nel caso di Giuli, la riproposizione di idee esoteriche attraverso un linguaggio ricercato serve a inserirsi nel dibattito culturale senza destare sospetti, lanciando però un messaggio chiaro a chi ha orecchie per intendere. La sottovalutazione di questi riferimenti da parte dei media e degli intellettuali permette alla “macchina mitologica” di operare indisturbata, diffondendo, gradualmente ma inesorabilmente, l’ideologia.

Secondo Jesi, l’unico modo per contrastare con efficacia questa dinamica è attraverso un’analisi critica approfondita che smascheri le operazioni mitopoietiche della destra (che, fino a Gennaro Sangiuliano, si era rivelata incapace anche solo di tentare l’egemonia culturale). A questo scopo è necessario riconoscere e decostruire questi miti, analizzando i simboli e i concetti utilizzati e ricollocandoli nel loro contesto storico e culturale, così da svelarne le manipolazioni. Avendo cura, mentre li si studia, di non subirne troppo la fascinazione.

Perché è pericoloso sottovalutare quei riferimenti

La superficialità con cui molti media e intellettuali hanno trattato i discorsi di Giuli è preoccupante, in ogni caso, per diversi motivi: innanzitutto, ignorare o minimizzare i riferimenti al pensiero esoterico permette a certe idee di infiltrarsi nel discorso pubblico senza opposizione, portando alla graduale accettazione di concetti che potrebbero minare alcuni princìpi fondamentali della democrazia.

La derisione senza analisi critica denota, poi, una pigrizia intellettuale che impedisce di riconoscere le sfide culturali e filosofiche poste da certe posizioni. Concentrarsi sulla forma - magari inutilmente pomposa, ma funzionale a trasmettere un intento specifico - senza comprenderne il contenuto impedisce lo sviluppo di controargomentazioni efficaci.

La sottovalutazione delle posizioni di Giuli e di quella che potremmo definire, attraverso Furio Jesi, una “Nuova cultura di destra” può poi avere conseguenze significative: la mancanza di un’opposizione critica può facilitare la diffusione di queste idee tradizionaliste e autoritarie, contribuendo allo sviluppo di movimenti neofascisti o ultranazionalisti. La democrazia è un gioco di prestigio, un sistema delicato di pesi e contrappesi: a questo risveglio del pensiero di destra deve necessariamente far fronte un nuovo pensiero di sinistra, pena un disequilibrio radicale (di cui è la sinistra senza idee a esserne, attualmente, la principale responsabile).

Se le ideologie della destra esoterica guadagnano terreno senza essere riconosciute e, quindi, contrastate, i valori fondamentali su cui si basa la nostra società possono essere messi a rischio, portando a un’erosione delle libertà civili.

È doveroso, quindi, che intellettuali, giornalisti e istituzioni culturali assumano un ruolo attivo nel decodificare ed eventualmente contestare questi discorsi. È necessario fornire al pubblico analisi dettagliate e chiare che spieghino il significato delle idee impiegate e le loro radici storiche e filosofiche, così da favorire un dialogo aperto e critico evitando tanto la banalizzazione quanto la demonizzazione aprioristica.

Reimparare a problematizzare

La sfida posta dalle dichiarazioni di Giuli non riguarda solo il contenuto dei suoi discorsi, ma investe la capacità della società di riconoscere e affrontare idee complesse, che possono rafforzare o minare le basi della nostra convivenza.

Ed è una sfida duplice: da una parte occorre smontare la “macchina mitologica” prima che venga messa interamente in funzione e i miti manipolati dalla destra si radichino inesorabilmente nel discorso pubblico. Dall’altra è essenziale costruire una cultura alternativa che, come detto, attualmente non c’è: promuovere valori pluralisti offrendo narrazioni e simboli nuovi, che sappiano sia valorizzare che problematizzare, al di là della vuota retorica, la complessità della società contemporanea.

Come evidenziato da Jesi, la battaglia culturale si combatte sul terreno dei simboli, dei miti e del linguaggio: è nostro dovere raccogliere questa sfida evitando la tentazione della derisione. Ridurre tutto a una “supercazzola” non è solo un errore di valutazione, ma un atto di irresponsabilità che può avere conseguenze profonde. È tempo che i progressisti smettano di adagiarsi su presunte superiorità morali o intellettuali - che non esistono più, se mai sono esistite - e si impegni in un confronto serio e informato con l’avversario, che finalmente è all’altezza del ruolo.

Ignorare o sottovalutare queste dinamiche significa abdicare al proprio ruolo di attori della democrazia e della cultura. È un lusso che non ci si può permettere.

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