Cosa farà Giorgia Meloni con Donald Trump? È la domanda che molti osservatori a Bruxelles si pongono. La premier italiana è vista oramai come un punto fermo della politica europea in un momento in cui tutto intorno si muove rapidamente. Ci si chiede se farà prevalere l’istinto politico e ideologico, o se invece opterà per una linea moderata e collaborativa con gli altri leader europei
Cosa farà Giorgia Meloni con Donald Trump? È la domanda che molti osservatori a Bruxelles si pongono. La premier italiana è vista oramai come un punto fermo della politica europea in un momento in cui tutto intorno si muove rapidamente. Meloni guida un governo stabile, figlio di una vittoria elettorale, ancora forte nei consensi, con prospettive di legislatura.
Sono in pochi a poter vantare una simile posizione nel Vecchio continente. In aggiunta il governo ha appena incassato l’unico vicepresidente esecutivo che appartiene a un gruppo parlamentare che non fa parte della “maggioranza Ursula”. Nelle cancellerie e nelle alte burocrazie ci si domanda insomma come una forte Meloni si relazionerà con Trump e i potenziali problemi che questo porrà.
Ci si chiede se la premier italiana farà prevalere l’istinto politico e ideologico, che la vede vicina al presidente entrante e alla sua eminenza grigia, Elon Musk, come accaduto ad esempio nel voto sulla riconferma di von der Leyen quando Meloni ha sconfessato il suo percorso di avvicinamento alla maggioranza europea per schierarsi con la destra ed evitare le rimostranze dei Conservatori e dei Patrioti. O se invece su questo tema opterà per una linea moderata e collaborativa con gli altri leader europei come avvenuto sulla finanza pubblica, sul Pnrr, sull’immigrazione, sull’Ucraina.
Giano bifronte
Insomma, come su molte altre questioni, anche su Trump la presidente del Consiglio resta un Giano bifronte. Basti pensare al suo silenzio durante la campagna elettorale americana e alle tiepide congratulazioni elargite al presidente eletto da una parte e invece alla corrispondenza fitta e amichevole con Musk dall’altra.
Sì deve inoltre considerare che Meloni, nel suo rapporto americano, deve fare i conti con interlocutori diversi anche sul fronte interno, due su tutti: Matteo Salvini e Sergio Mattarella. Il primo si è da mesi messo la maglietta di Trump, e pur se non risulta tra i leader occidentali più credibili agli occhi della Casa Bianca, farà di tutto per accattivarsi le simpatie della nuova amministrazione.
Il secondo ha già lasciato intendere che l’orizzonte è quello del coordinamento europeo, di una certa indipendenza nel rapporto con la Cina, di preservare alcuni rami della vecchia globalizzazione. Per questo Meloni deve muoversi in punta di piedi, anche perché anche in Europa ci sono interlocutori volubili.
Il nuovo governo tedesco arriverà tra vari mesi, Emmanuel Macron aveva un buon rapporto con Trump e ci ha abituati a inversioni spettacolari della propria linea politica, mentre baltici e polacchi premono per evitare che sull’Ucraina ci si ammorbidisca troppo. Di qui gli interrogativi europei intorno a Meloni.
Se Trump arriverà con un piano di dazi, richieste di aumento della contribuzione alla Nato, fornitura di ulteriori armi all’Ucraina, Meloni sarà usata dalla nuova amministrazione per aprire una breccia nelle resistenze degli altri stati europei? E si lascerà nel caso utilizzare per ricavare qualche vantaggio politico o invece cercherà di stringere le maglie europee per negoziare in modo più compatto e correre ai ripari con un rafforzamento dell’integrazione europea?
L’interesse nazionale
Ciò che Trump chiede è difficile da sostenere per l’Unione europea perché i dazi aggraverebbero la crisi industriale mentre sulla difesa i governi dovrebbero impiegare risorse che non hanno sottraendole al welfare o alla stessa politica industriale.
Di fronte a tali incertezze, la premier risponderebbe senza dubbio di voler seguire l’interesse nazionale che però potrebbe essere asincrono rispetto a quello europeo, cioè essere il primo più profittevole nel breve ma meno nel lungo termine rispetto al secondo. Certo esiste sempre la possibilità di trovare la giusta misura, ossia quella che era stata, pur per breve tempo, l’intuizione di Silvio Berlusconi: farsi riconoscere come mediatore tra il blocco europeo e la nuova amministrazione repubblicana.
Di recente proprio il Wall Street Journal ha suggerito all’amministrazione entrante di tenere da conto Meloni. Se ciò si verificasse, e le incognite sono molte, la presidente del Consiglio potrebbe portare a casa un’altra vittoria politica e un’accresciuta legittimità internazionale.
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