Sono tantissimi gli schemi usati per interpretare quella che Stendhal chiamava «l’unica capitale oltre Parigi». Una città in cui riaffiora la metafora della particolarità cosmica, ma che esprime il meglio e il peggio del paese
La presentazione alla Mostra internazionale del Cinema di Venezia del film Dadapolis: storia caleidoscopica di Napoli è stata occasione per ripensare alle tante immagini di Napoli, come ha già fatto in queste pagine Giustina Orientale Caputo.
Il film è solo un riferimento al libro Dadapolis, caleidoscopio napoletano che nel 1989 Fabrizia Ramondino e Andreas Friedrich Muller pubblicarono con Einaudi. Un estratto di una più ampia raccolta di brevi testi di noti scrittori, poeti, artisti, viaggiatori, studiosi già pubblicata in tedesco nel 1988.
Fabrizia fu molto gentile e mi chiese un testo breve che inserì poi nella sezione delle flanerie. Nel contributo, a valle di un lavoro bibliografico sulla città, proponevo una sorta di abaco dei principali schemi interpretativi, adottati da studiosi di varie discipline e presenti in centinai di testi per leggere la città.
Duale
La metafora più forte, radicata e reiterata era quella della città duale, luogo doppio: paradiso abitato da demoni. Ma anche quella della città particolarità cosmica era abbastanza egemonica, articolata in diverse versioni: la città dell’armonia perduta, la potenza sopita, il vulcano inattivo, il terremoto quotidiano, teatro di miseria profonda quanto aneddotica, «l’unica capitale oltre Parigi» secondo Stendhal.
D’altra parte molte città hanno un rilevante patrimonio culturale avendo di fatto suscitato tanta letteratura, pittura, drammaturgia, filmografia, tante canzoni, cumulando un archivio obiettivamente rilevante, condiviso da tutte le classi sociali. Per Napoli canzoni, drammaturgia e filmografia sono obiettivamente molto consistenti.
Da alcuni anni la città e i suoi registi o attori sono meritatamente invitati alla Mostra internazionale del cinema a Venezia, alcuni sono arrivati a Los Angeles o Cannes. A Venezia è stato riproposto il film di Vittorio De Sica L’Oro di Napoli (1954) che è solo uno dei più noti film fra gli oltre seicento ispirati, dedicati, ambientati nella città, a partire dal 1901: un insieme di produzioni artistiche che da solo meriterebbe un approfondito studio di sociologia dell’immaginario collettivo.
Anche nella letteratura sociologica alcuni degli stereotipi base indicati prima sono stati assunti e variamente utilizzati in testi che hanno avuto una meritata fortuna editoriale e su cui si sono formate alcune generazioni: da Napoli com’è di Emilio Luongo e Antonio Oliva (1959) a Napoli dopo un secolo (1961) di Francesco Compagna, Giuseppe Galasso, Augusto Graziani e molti altri noti accademici, a Lettere dall'’Interno del P.C.I. a Louis Althusser, a La negazione urbana di Gennaro Guadagno e Domenico De Masi (1971), Anche il colera, Gli untori di Napoli di Gennaro Esposito, Goffredo Fofi (1973), al più noto Potere e società a Napoli di Percy Allum (1979) tralasciando molti altri testi che già negli ultimi decenni dell’Ottocento hanno messo in luce la particolare concentrazione di povertà urbana nella città come altri libri molto importanti di Giuseppe Galasso, Paolo Macry, Paolo Frascani, Isaia Sales e altre/i.
Una ricca miniera
Anche la turistificazione che negli ultimi anni, poco governata, sta cambiando malamente il volto del centro urbano, è stata sollecitata anche dal successo di romanzi o thriller di successo spesso diventati serie televisive. Dal più noto Gomorra a L’amica geniale, I Bastardi di Pizzofalcone o il Commissario Ricciardi, Mina Settembre, o il più recente Mare fuori senza dimenticare la prima soap opera televisiva interamente prodotta in Italia Un posto al sole che, avviata nel 1996, in quasi trenta anni, ha superato i 5480 episodi. Questo in una città ove le istituzioni locali ancora faticano a concretizzare progetti per favorire un reale consolidamento di queste sezioni di industria culturale che in diversi casi fanno ancora molta fatica a sopravvivere.
Tutto questo per dire che nella sua storia e nel suo presente Napoli non solo è un territorio con una particolare concentrazione di vulcani, anche attivi, di cui gli abitanti sembrano disinteressarsi, ma dal punto di vista della stratificazione culturale è una miniera a cielo aperto particolarmente ricca.
Per gli studiosi, gli operatori dell’informazione, gli artisti, i creativi, come per i cittadini comuni, la storia urbana con questo particolare patrimonio, offre un numero straordinario di argomenti, per riproporre interpretazioni, suggestioni più o meno condivisibili, quasi mai del tutto originali, nella misura in cui in qualche modo ripropongono gli schemi interpretativi più antichi.
Le peculiarità
Cercando di studiare e riflettere sulla città, sulle dinamiche di riproduzione sociale, da tempo provo a individuare qualche peculiarità. Tocca quindi ripensare le suggestioni cumulate nel tempo in merito a (presunti?) caratteri originali della formazione economico sociale di Napoli.
Uno molto noto è quello della città porosa, suggerito da Walter Bejamin e Asja Lacis nel 1925 e in seguito molto riutilizzato. Città di porto, grande attrattore per l’intero sud, da 25 secoli ha accolto popolazioni di diversa provenienza. Costituita da materiale tufaceo e nei secoli da un’edilizia particolarmente differenziata nell’ampiezza e nel valore delle case per cui, anche nel centro urbano, spesso in prossimità di palazzi nobiliari e conventi, abitanti con basso reddito hanno potuto abitare in grotte e tuguri ma anche in una straordinaria gamma di case piccole e medie, concretizzando così una obiettiva particolarità: uno straordinario prolungato radicamento del popolo e dei poveri nel centro della città.
Questo è associato ad un altro carattere evidente quanto radicato: l’ampio spazio lasciato all’informalità entro cui si riproducono economie, lavori, scambi, attività. Un carattere profondamente intrecciato con una antica, diffusa e radicata sregolazione, intesa come una cura molto relativa del rispetto delle regole da parte delle autorità delegate: analfabetismo delle regole scriveva Carlo Donolo. Un modo di fare documentato in film come Mi Manda Picone (1983) di Nanni Loy o Maccheroni (1985) di Ettore Scola, radicato nelle reti sociali perché costantemente consentito, tollerato, dai responsabili del governo di tutti gli ambiti della vita.
Un modello di riproduzione comunque voluto, ammesso, dai diversi centri di potere, tanto condiviso quanto iniquo che mentre consente opportunità di sopravvivenza a popolazioni fragili, in realtà favorisce e protegge i furbi, gli scaltri di tutti i ceti sociali e soprattutto narcotizza il conflitto e difende le rendite.
Qualche dato. Il primo rapporto dell’Osservatorio Economia e Società del Comune di Napoli, coordinato da Gaetano Vecchione, presenta molti dati interessanti. Ne riporto alcuni. Nel 2022 ha presentato all’Agenzia delle entrate una dichiarazione Irpef il 53 per cento dei cittadini napoletani. Nelle maggiori città del centro nord questo indicatore mostra valori prossimi o superiori al 70 per cento; anche Bari raggiunge il 65 per cento mentre Palermo si attesta su un valore di poco superiore a quello napoletano.
Nel 2022 il 48 per cento dei contribuenti di Napoli ha dichiarato meno di 15.000 euro lordi all’anno, a Milano sono il 39 per cento, a Roma il 38 per cento, a Bari e Palermo rispettivamente 43 per cento e 47 per cento. I napoletani hanno dichiarato complessivamente un reddito medio di 22.600 euro. Va ricordato che Napoli è soprattutto una città di servizi e quindi sono preponderanti gli 84.151 dipendenti pubblici. Il tasso di occupazione (15-64 anni) è pari al 41 per cento, il più basso tra le città popolose del Paese.
Secondo dati della CGIA di Mestre, dopo Lecce, Napoli è la città ove maggiore è lo squilibrio fra numero di occupati e cittadini in quiescenza, questo per l’alto numero di pensioni di invalidità e altre erogazioni sociali, che in diverse città del sud ammortizzano le tensioni sociali.
Questi e altri dati segnalano – oltre la grave povertà urbana – un’evasione con un significativo peso dell’economia informale che riguarda vari strati sociali, con segmenti di ceti benestanti che evadono in modo corposo.
Tutti possono constatare la tolleranza dello scarso rispetto del codice della strada come di molti altri ambiti normativi: dal commercio a significativi ambiti dell’imprenditoria, dal lavoro nero alla morosità ai canoni di affitto degli alloggi pubblici, la vita in città si riproduce secondo standard che manifestano l’esistenza di una zona grigia molto ampia.
Le dinamiche
Composizione e interazione di porosità, informalità e sregolazione danno vita a dinamiche in cui cooperano diverse modalità di convivenza, ove per molti è difficile vivere: dalla necessità per gli anziani di guardare con attenzione al manto stradale per non cadere mentre si cammina, alla tolleranza dell’appropriazione indebita di spazio nelle strade per parcheggi di auto, motorini, tavolini di bar e pizzerie.
Tutto questo senza sottovalutare i problemi del mercato del lavoro, le carenze nei servizi, la povertà pluridimensionale di migliaia di famiglie che fanno fatica a mettere il piatto in tavola o assicurare le opportune cure a chi soffre di seri problemi di salute, vivendo in migliaia di alloggi malsani.
È evidente che riaffiora con forza l’insidiosa metafora della città particolarità cosmica ma ci sono molti indizi per affermare che si tratta di una città che esprime il meglio e il peggio del paese, una città italiana.
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