Da TeleMeloni ai social media, fino alle interviste con selezionati intervistatori amici, Giorgia Meloni si avvia a chiudere la campagna elettorale alzando i toni della propaganda. Il copione prevede un crescendo di annunci. E poco importa se la realtà dei fatti spesso ha poco a che fare con i racconti della presidente del Consiglio. Dall’economia, alla giustizia, all’immigrazione ecco una panoramica dei successi immaginari del governo Meloni.

Occupazione, l’onda lunga

Ad aprile, ultimo dato disponibile, il tasso di occupazione ha raggiunto il 62,3 per cento, un record storico. Meloni si è attribuita il merito di questo risultato sottolineando il fatto che durante il suo governo sono stati creati 600mila posti di lavoro. Tutte le analisi sono però concordi nel segnalare che la crescita, iniziata già nel 2021, ha preso velocità nel corso del 2022, con il governo Draghi. Difficile quindi attribuire la svolta a specifici provvedimenti varati dalla maggioranza di centrodestra. L’aumento degli occupati viene invece spiegato, almeno in parte, come un primo effetto del calo demografico che riduce la forza lavoro disponibile.

Immigrazione, nulla di fatto

In quella che Meloni considera la sua lotta all’immigrazione – cavallo di battaglia sottratto alla Lega – la premier ha puntato sulla creazione di dieci nuovi centri per il rimpatrio (Cpr) in Italia e di due strutture in Albania, con cui è stato siglato un accordo dai contorni burocratici ancora nebulosi. A distanza di nove mesi, tutto rimane sulla carta. A oggi non è chiaro dove i 10 Cpr verranno edificati. Quanto alle strutture albanesi, secondo il cronoprogramma dovevano essere inaugurate entro maggio, ma uno dei cantieri è in alto mare. L’edificio che servirà da hotspot per l’identificazione è quasi completato, ma senza la struttura principale sarà inutile.

Sanità, risorse immaginarie

Meloni sostiene che non c’è stato nessun taglio nella spesa sanitaria e che il suo governo ha aumentato le risorse destinate alla salute pubblica. In termini relativi, gli stanziamenti supplementari da parte del governo ci sono stati, assorbiti però in buona parte dalla crescita dell’inflazione, mentre per il resto derivano dallo spostamento all’anno successivo degli oneri per il rinnovo del contratto del personale.
In numeri assoluti, invece, a smentire la rivendicazione della premier è stata la Banca d’Italia, con la relazione del suo ufficio studi. Nel 2022 l’Italia spendeva in sanità il 6,9 per cento del Pil, inseguendo a grande distanza Francia e Germania, che viaggiano rispettivamente sull’8,8 per cento e l’8,3 per cento. Nel 2023, primo anno vero e proprio del governo Meloni, il capitolo sanità si è addirittura ristretto, calando a quota 6,3 per cento. Per il prossimo anno, le tabelle del Documento di economia e finanza anticipano una ulteriore lieve discesa della spesa. Percentuali, quindi, che restano non competitive con gli standard dei maggiori paesi europei.

Il Superbonus degli altri

Nel gran tour mediatico della presidente del Consiglio l’argomento dei conti pubblici viene evitato con cura. D’altronde con il debito che continua ad aumentare non conviene sventolare i numeri di bilancio. L’unico appiglio utile alla propaganda è quello del Superbonus, descritto come l’origine dell’imprevisto peggioramento del deficit. Nella narrativa meloniana, i responsabili del disastro sarebbero i governi precedenti, di cui però hanno fatto parte anche Lega e Forza Italia, ora alleati di Fratelli d’Italia, che infatti fino all’ultimo hanno cercato di disinnescare la stretta imposta dal ministro dell’economia, Giancarlo Giorgetti.

Spread, grazie Berlino

L’altro cavallo di battaglia in tema di finanza pubblica è lo spread che, sostiene Meloni, è “ai minimi, sotto i 100 punti”, si è lasciata sfuggire lunedì sera intervistata da Nicola Porro. Il fatto è, però, che la fatidica quota 100 è stata toccata per l’ultima volta a metà settembre del 2021, quando a Palazzo Chigi c’era Mario Draghi. Poi, certo, con Meloni al governo lo spread è sceso dai 250 punti dell’autunno 2022 fino ai 130 attuali. Buona parte di questa rimonta, però, è da attribuire al rallentamento dell’economia tedesca. Il rischio Germania è aumentato e quindi si è ristretta la forbice che separa il rendimento dei Bund di Berlino dai Btp.

Giustizia a marcia indietro

Anche in materia di giustizia, Meloni ha parlato di “riforma epocale”, riferendosi all’ultimo disegno di legge costituzionale che separa le carriere dei magistrati e smembra il Csm. In realtà, i provvedimenti varati dal governo non hanno nessun effetto sui due maggiori problemi della giustizia in Italia: il sovraffollamento carcerario e la durata dei procedimenti. Le carceri sono diventate una vera bomba a orologeria sulla strada dell’esecutivo, con un numero di suicidi record che nel 2024 ha già toccato quota 38 e oltre 64mila detenuti a fronte di una capienza ufficiale di 51mila. E gli ultimi decreti del governo, a partire dal ddl Caivano, hanno aumentato le pene per alcuni reati comuni, con l’effetto di un ulteriore aumento degli ingressi.
Sulla durata dei procedimenti, i numeri sono calati con la riforma Cartabia ma rischiano di tornare a salire a causa della riforma della prescrizione approvata alla Camera. Gli uffici giudiziari, infatti, si sono adeguati nei calcoli della prescrizione alla riforma di un anno fa. La modifica costringerà a un ricalcolo sulla base del principio che, per i casi pregressi ancora in corso, andrà applicata la legislazione più favorevole. Col risultato di scucire, come una tela di Penelope, quanto appena fatto.

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