Nell’anno in cui Ross Perot e il suo partito indipendente fecero registrare una delle prestazioni più importanti nella storia dei “terzi”, alla Casa Bianca arrivò una generazione nuova e giovane di politici democratici. Ecco in cosa si distinse (e in cosa invece fallì), in una fase nuova fatta di crescita economica e relativa assenza di conflitti
Ross Perot fu la chiave dei democratici per giungere alla Casa Bianca. Il magnate texano e il suo partito indipendente fecero registrare una delle prestazioni più importanti nella storia dei “terzi” raccogliendo il 19% dei consensi su scala nazionale (T. Roosevelt nel l912 arrivò al 27%) tanto da infliggere una pesante perdita di voti ai repubblicani che in sua assenza ne avrebbero assai probabilmente beneficiato.
A trarne vantaggio fu invece William J. Clinton, detto Bill, che correva insieme al candidato vicepresidente Al Gore, senatore del Tennessee. Una generazione nuova e giovane di politici democratici che contribuirono a conferire all’Asinello la maggioranza parlamentare sia alla Camera che al Senato, come non si verificava da sedici anni, dalla presidenza Carter.
Clinton superò i competitori in 32 stati e conquistò il 43% del voto popolare sconfiggendo il presidente in carica George Bush Sr., come accaduto per i repubblicani l’ultima volta a Gerard Ford nel 1976, ma in questa occasione Bush ottenne il peggior dato dal 1912 per un presidente in carica.
Clinton viceversa ottenne il risultato più basso per un candidato eletto presidente dal 1860.
Dall’Arkansas alla Casa Bianca
L’incontro con John F. Kennedy nel Rose Garden della Casa Bianca durante una visita da studente (poi laureatosi a Yale in legge) fu in qualche misura premonitrice, ma anche ispiratrice di un impegno politico che Bill non avrebbe più abbandonato.
La prima esperienza elettorale fu negativa, uscendo sconfitto per la carica di deputato nel terzo distretto dell’Arkansas nel 1974. Riprese però il cammino rapidamente prima da procuratore generale e poi da governatore dello stato natio nel 1978, carica che mantenne fino al 1992 sebbene intervallato da una sconfitta.
I nuovi democratici
Una nuova classe dirigente che facesse dimenticare e prendesse le distanze dagli ormai invecchiati esponenti democratici espressione della fase roosveltiana e soprattutto della “Grande società” di Lyndon Johnson e in difficoltà perché legati ai loro collegi elettorali delle zone colpite dalla deindustrializzazione.
La filosofia rimandava alla Terza via, una revisione profonda della socialdemocrazia, in cui il ruolo dello Stato fosse più contenuto e aprisse agli interessi privati e alla sfera individuale nel contenimento delle disuguaglianze rispetto all’azione del welfare.
Un cambiamento di posizionamento ideologico che lo portò ad assumere posizioni più conservatrici quali la legge sulla responsabilità personale e sulle opportunità di lavoro, il programma nazionale di assicurazione sanitaria per i bambini e alcune misure di liberalizzazione e deregolamentazione finanziaria, forse troppo acriticamente come riconosciuto da uno dei principali collaboratori, il Nobel Joseph Stiglitz.
Mondo unipolare e crescita economica
Clinton beneficiò di una relativamente lunga fase di crescita economica, soprattutto accompagnato da una congiuntura di assenza di conflitti armati. Riuscì a far votare al Congresso l'accordo di libero scambio nordamericano (NAFTA) rendendolo operativo e ratificandolo dopo che era stato firmato da Bush Sr. nel 1992. Il 1° gennaio del 1994 insieme al NAFTA, et pour cause, partirono le proteste del (sub) comandante Marcos che incendiarono il Messico.
La fine dell’URSS aveva altresì eliminato l’avversario storico sul piano internazionale e per la prima volta anche imposto maggiore attenzione all’agenda interna. L’assenza dello spauracchio comunista era destabilizzante per la propaganda repubblicana e favoriva l’azione dei new democrats nel posizionarsi su politiche meno identitarie e più pragmatiche in ambito sociale ed economiche, meno ortodosse.
È l’economia, stupido!
Uno slogan della campagna presidenziale che è entrato nella storia politica e nel gergo corrente. Consapevole che le guerre identitarie erano ormai venute meno sia per la fine della Guerra Fredda, sia per la minore salienza delle battaglie culturali contro le minoranze entiche e nere, Clinton accentuò la politica su aspetti materiali, scavando un fossato importante tra i repubblicani (attardati nella difesa della Christian Coalition) e la società, soprattutto urbana e giovane.
Inoltre, tutto ciò era favorito dal consolidamento di tematiche, quali i diritti delle donne (era aumentata la rappresentanza sia al Senato che alla Camera) e l’ambiente (Al Gore era un attivista) che in passato non erano entrate nell’agenda presidenziale.
Sull’azione sociale per eccellenza del mandato di Clinton si verificò una battuta di arresto. Harry & Louise fu uno spot lanciato dall’industria farmaceutica che spese circa 20 miliardi di dollari per una celebre campagna elettorale contro il piano di estensione della copertura sanitaria. È la lobby, bellezza.
L’alzata di scudi delle compagnie assicurative, dei conservatori di ogni risma e l’incertezza dei democratici in parlamento, condannarono la proposta di legge prima a compromessi depauperanti, poi alle calende greche e infine all’inevitabile bocciatura politica con il cambio di guardia al Congresso. Alle elezioni di mid-term del 1994 i repubblicani ottennero la maggioranza, circostanza che non si verificava dal 1954 e che dal 1932 c’era stata solo un’altra volta.
Anche Clinton si trovò in una situazione di governo diviso (che rimase fino alla fine della presidenza), dai cui perigliosi intrighi e agguati legislativi si sganciò con un’audace azione legislativa sia sul bilancio federale, costringendo i repubblicani ad assumersi la responsabilità dello shutdown, ma anche l’applicazione di una severa legge sull’ordine pubblico (Violent Crime Control and Law Enforcement Act), tema storicamente della destra repubblicana.
La fine del big government. La rielezione del 1996
Fine del big government: lo disse nel discorso sullo Stato dell’Unione del 1996. Dopo l’insuccesso nel tentativo di riformare il servizio sanitario, Clinton virò su un maggiore distacco dal modello di Big government; si è tuttavia dedicato a migliorare la legislazione sull’istruzione, a tutelare maggiormente i lavoratori con figli ammalati, introdurre il congedo parentale per un anno sebbene non retribuito e adottare misure per contenere la vendita di armi.
Clinton fu il primo candidato democratico ad essere rieletto dopo Franklin D. Roosevelt. I democratici crebbero in voti popolari (49%) e Perot si sgonfiò arrivando all’8%, mentre il senatore Bob Dole fu per i repubblicani un candidato non adeguato che però mitigò almeno in parte il consolidamento di Clinton nella Sunbelt, anche se era proprio il GOP a continuare la marcia trionfale nel vecchio sud democratico, come aveva predetto Lyndon Johnson.
Il confronto non fu acceso e forse anche per questo la partecipazione scese al minimo del 49%. Bill puntò ad affermare nel dibattito pubblico i bassi livelli di disoccupazione mai raggiunti, la più debole inflazione dell’ultimo trentennio, la diminuzione della criminalità.
La vittoria presidenziale non ebbe però quell’effetto trascinamento (coattail) verso i candidati al parlamento e i repubblicani riuscirono a tenere il controllo della Camera e del Senato. Con la cui maggioranza però, da abile tattico, Clinton riuscì ad ottenere l’accordo per un bilancio federale in pareggio, cosa che non si verificava da oltre tre decadi.
RIP, scandali e magistratura
Whitewater, oltre ad avere una sinistra assonanza con Watergate, rappresentò l’inizio dei problemi giudiziari per Clinton, accusato insieme alla moglie Hillary, di aver agito illecitamente in operazioni immobiliari in Arkansas.
Ne seguì la nomina del famigerato Kenneth Starr, radicale ed estremista, a procuratore speciale come previsto dalla norma introdotta proprio nel 1978 per affrontare l’impeachment. Si riproduceva, pertanto, a parti invertite rispetto al caso Nixon, lo scontro istituzionale tra il presidente democratico e il Congresso repubblicano che lo accusava e intendeva metterlo sotto processo.
Clinton divenne il secondo presidente sottoposto a impeachment dopo Andrew Johnson nel 1868, accusato di violazione di una norma sul veto, caso che non ebbe esito positivo per un voto. Il presidente democratico non venne accusato di questioni legislative o istituzionali, e nemmeno per le questioni relative al complesso residenziale del Whitewater, ma per aver mentito in relazione ai rapporti extra coniugali con Monica Lewinsky, stagista alla Casa Bianca. Bugie che si sommavano alle accuse, ancora pendenti, di Paula Jones, altra collaboratrice presidenziale.
Il 1998 fu un annus horribilis per i democratici, sebbene per la prima volta dal 1934 il partito presidenziale crebbe alle elezioni di metà mandato, ma non sufficiente a evitare la sconfitta parlamentare. Fu grazie ai senatori che Clinton salvò la presidenza dall’impeachment: dopo il voto favorevole della Camera, il Senato si pronunciò contro le accuse rivoltegli giudicandolo non colpevole, con una votazione ampiamente maggioritaria (55 vs 45) e nonostante i repubblicani fossero più numerosi dei democratici.
Un voto non-partisan dovuto, oltre che alla cultura politica e favorito dalla separazione dei poteri, soprattutto dalla significativa popolarità di Clinton, molto apprezzato per le azioni in campo economico e sociale. Il presidente chiese scusa alla nazione: “ho ingannato varie persone”, tra cui il popolo americano.
La popolarità a fine mandato raggiunse picchi superiori al 60% e ineguagliati per un presidente uscente. RIP, acronimo per Rivelazioni dei media, Indagini della “polizia” e Processo della magistratura divenne un metodo, nato con il Watergate, per colpire politici, specialmente color che avessero commesso qualche leggerezza.
Il mondo di Clinton
Sebbene nel contesto del post Muro di Berlino, e molto orientata alla politica interna, la presidenza Clinton ebbe un ruolo importante anche in ambito esterno. In Europa fu certamente rilevante l’intervento militare degli Stati Uniti nelle guerre in Bosnia e in Kossovo, cui seguirono gli accordi di pace di Dayton.
E proprio in Europa Clinton ha perorato la causa dell’allargamento della NATO ai paesi dell’ex blocco sovietico. E si spese anche per garantire il processo di pace in Irlanda del Nord. Sua anche l’azione diplomatica per consolidare la pacificazione tra Israele e Palestina (Oslo e vertice di Camp David con la storica stretta di mano tra Arafat e Rabin).
Tra le sue due nomine presidenziali per la Corte Suprema federale spicca quella di Ruth Bader Ginsburg, ormai diventata leggenda. Da suonatore quasi professionista di sassofono forse pensò che quel mondo geopolitico unipolare post 1989 fosse un unico grande spartito tutto da scrivere per gli Stati Uniti: la storia sarebbe cambiata solo un anno dopo la sua uscita di scena.
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