Dopo essere stato approvato dalla Camera, il ddl sicurezza è approdato al Senato, dove attualmente è al vaglio delle commissioni. Se dovesse passare anche a palazzo Madama, il testo introdurrebbe una trentina di nuovi reati, aggravanti e ampliamenti di pena, come già successo nel recente passato, per esempio con il decreto rave e il decreto Caivano.

Il governo Meloni continua a essere propenso a intervenire nelle problematiche del nostro paese attraverso l’aumento delle pene e l’introduzione di nuovi reati. Misure che vengono considerate generalmente a “costo zero”, dal momento che non richiedono nell’immediato uno stanziamento di fondi da parte del governo, ma solo la scrittura all’interno del codice penale. Interventi educativi nelle periferie per non lasciare abbandonati a sé stessi i ragazzi che ci vivono, per esempio, avrebbero un costo maggiore anche soltanto perché necessitano dell’assunzione di nuovo personale o dell’attribuzione di ulteriori fondi ai servizi educativi già presenti sul territorio.

Ma l’introduzione di nuovi reati e aggravanti è davvero a “costo zero”?

Il sistema giudiziario

Il 25 gennaio si è tenuta la cerimonia di apertura dell’anno giudiziario alla Cassazione. In questa occasione, la presidente della Corte Margherita Cassano ha riferito che, in seguito alla riforma dell’ex ministra della giustizia Cartabia – inserita tra le riforme fatte grazie e per il Pnrr – i dati relativi al funzionamento del sistema giudiziario erano in netto miglioramento.

Le pendenze civili nel 2023 sono diminuite dell’8,2 per cento nei tribunali e del 9,8 per cento nelle Corti d’appello e anche i tempi dei procedimenti, sempre nel civile, sono scesi in diverse categorie. In ambito penale le pendenze sono scese del 13 per cento nei tribunali e del 6,5 per cento nelle Corti d’appello, così come i tempi, che sono anch’essi diminuiti.

In Cassazione l’indice di ricambio dei procedimenti è salito al 141 per cento rispetto al 121,3 per cento del 2022. I numeri del 2023 risultano quindi in netto miglioramento e fanno ben sperare per il raggiungimento degli obiettivi previsti per ricevere i fondi del Pnrr. Fondamentale per il raggiungimento di questi obiettivi è stato, secondo Cassano, «aver superato l’ottica carcerocentrica, introducendo la giustizia riparativa e forme risarcitorie e restitutorie per i reati di minore gravità».

Privilegiando tra le altre cose le misure alternative alla detenzione, si è registrato quindi un netto passo avanti nella semplificazione della macchina giudiziaria e nell’accorciamento dei tempi dei procedimenti, annoso problema della nostra giustizia.

Seguendo questo ragionamento, le misure introdotte (o in via di introduzione) dall’attuale governo andrebbero in una direzione opposta alla semplificazione del sistema. Con l’introduzione di nuovi reati, in particolare per crimini minori, aumenterebbero probabilmente i procedimenti in corso. Non è detto che vengano così vanificati i miglioramenti in corso, ma l’eventuale aumento di procedimenti potrebbe parzialmente comprometterli. 

«L’impatto di politiche penali improntate a rigore repressivo per taluni settori della società e a un abbassamento dei livelli di tutela dell’individuo nelle relazioni con i pubblici poteri si misurerà a breve in un appesantimento della macchina giudiziaria – ha dichiarato il presidente dell’Associazione nazionale magistrati Giuseppe Santalucia – che non creerà di certo maggiore sicurezza, e in una sua irragionevole inefficacia nel reprimere condotte di approfittamento che, secondo il comune sentire, esigono una reazione sanzionatoria».

Le carceri

Un’altra grande questione legata alla giustizia è la situazione delle carceri. Storicamente sovraffollati, gli istituti penitenziari italiani hanno raggiunto, a marzo del 2024, un numero di persone detenute pari a 61.049, a fronte di una capienza di 51.178 posti. Le carceri italiane sono quindi piene quasi al 120 per cento, con la percentuale maggiore di detenuti rappresentata da chi ha una pena tra uno e tre anni.

Si registra inoltre un aumento di chi ha pene superiori ai tre anni, ma secondo il ventesimo rapporto dell’associazione Antigone sulle condizioni di detenzione «la causa di tutto questo non è certo un aumento della criminalità per i fatti più gravi, che, come abbiamo visto altrove, è anzi in calo. Il fenomeno dipende invece dall’innalzamento delle pene, una tendenza che si registra da anni, e che comporta, oltre all’invecchiamento della popolazione detenuta, anche una crescita delle presenze in carcere che prescinde dall’aumento degli ingressi. Se non fosse che gli ingressi sono invece anche loro in aumento». 

Il sovraffollamento, inoltre, interessa ora anche le carceri minorili, che dal decreto Caivano in poi, accolgono oltre 60 persone in più rispetto alla loro capienza. 

Un aumento delle pene e dei reati, con una tendenza a penalizzare sempre più alcuni comportamenti, come quelli legati a piccoli reati come spaccio e droga, o a criminalizzarne altri, come le varie forme di espressione del dissenso che sarebbero colpite dal ddl sicurezza, va soltanto ad aumentare la possibilità di ulteriore sovraffollamento.

A maggior ragione se il modo ipotizzato per affrontare questo problema è l’ampliamento degli istituti carcerari. Secondo Alessio Scandurra, che ordina l’Osservatorio di Antigone sulle carceri per gli adulti, questo è un problema, e un costo, anche culturale: «Sottolineare come emergenze fenomeni sociali che emergenze forse non lo sono, che gravi forse non lo sono, come prima cosa mi fa dire che ci fa orientare gli apparati delle forze dell’ordine, la sicurezza e a cascata la macchina giudiziaria su cose che magari fanno tanto rumore sui giornali, ma che non sono le emergenze di questo paese. Questo mi sembra un costo sociale e in termini di sicurezza».

Questi allarmi riguardano spesso la microcriminalità (spaccio, furti, ...), che ha una grande influenza sulla percezione di sicurezza delle persone. Gli omicidi, per esempio, sono in netto calo: il ministero dell’Interno un anno fa circa sottolineava che tra il 2007 e il 2022 i casi sono più che dimezzati, passando da 632 a 314. «Una stretta sulla piccola criminalità vuol dire tanti numeri di detenzione. Mentre iniziative su altri tipi di reati hanno un impatto numericamente più basso, i piccoli spacciatori sono tanti e sono ovviamente visibili – dice ancora Scandurra –. È una piccola criminalità diffusa, più o meno alla luce del sole, rispetto alla quale la repressione è anche facile se si indica come priorità e si stringono le pene su quel tipo di criminalità si fanno con facilità grandi numeri di detenzione». 

Questo va a incidere poi sul numero dei detenuti e, di conseguenza, sui costi. O meglio, il costo quotidiano per ogni persona detenuta si riduce con l’aumento dei numeri, ma allo stesso tempo richiede poi più personale, più medici, più farmaci. I dati del ministero della Giustizia restituiscono un trend di crescita costante del bilancio dell’amministrazione penitenziaria negli ultimi anni. 

A incidere sui costi e la vita delle carceri è inoltre la tipologia di persone detenute che arrivano con un’attenzione maggiore sui piccoli reati. Ancora Scandurra: «Essendo quello degli spacciatori l’ultimo anello della distribuzione della droga, è anche il livello frequentato da criminali più piccoli e spesso dalle persone più fragili, prive di altre prospettive. Se ne porti di più in carcere fai anche crescere un tipo di utenza particolarmente fragile, con una domanda di salute mentale particolarmente forte, che chiederebbe risorse e investimenti sanitari».

Il risultato è un carcere «che funziona sempre meno, che produce più recidiva, che ovviamente è un enorme costo per la collettività: per me che posso essere vittima di nuovo reato, per il sistema giudiziario». Senza contare che una persona con fragilità psicologiche che vive nelle condizioni che ora offrono le carceri, non uscirà probabilmente con meno fragilità. Al contrario queste potrebbero esserne acuite. 

Costruire nuovi penitenziari

Infine, non irrilevante è la dimensione edilizia, indicata come una via per risolvere i problemi di sovraffollamento. Così «scatta la retorica delle nuove carceri, che poi storicamente non vengono costruite. Ma è un tema da tenere d’occhio – secondo Scandurra – C’è sempre il rischio di avere più detenuti di quelli che avrebbe senso avere e per questo ti impicchi a un sistema penitenziario sempre più grande, che però poi devi mantenere. Nuove carceri le devi poi riempire di personale sanitario, di polizia, educativo. Già non siamo in grado di mantenere le strutture che abbiamo già, in termini di manutenzione e mantenimento del personale. Il bilancio dell’amministrazione penitenziaria è un bilancio colossale, rispetto a quello del sistema delle alternative alla detenzione che è veramente risibile». 

Se nell’immediato l’introduzione di nuovi reati viene considerata a “costo zero”, ci sono poi effettivamente dei costi successivi che gravano sul sistema e che non fanno altro che peggiorare una situazione già critica. 

© Riproduzione riservata