Intervista con il ministro di un mondo che prevede pure un Dipartimento, un’agenzia governativa (Sport e Salute), il CONI e le singole federazioni: «Esiste un problema di governance, esiste il gender gap ai vertici. Problematiche di decenni non possono trovare soluzione in due anni. Il 60 per cento delle scuole italiane non ha una palestra, ma prima non se ne parlava». E confessa di essere tra i sedentari
Posso dire che mi ha cercata lei? «È la verità. Ho letto e sono rimasto colpito da una serie di articoli su temi che mi riguardano. E io cerco sempre il confronto, a ogni livello: ognuno nel proprio ruolo, provando a far prevalere la ragione oggettiva dei fatti, per come i fatti si possono proporre oggettivamente. Forse siamo stati un po’ troppo sobri nella comunicazione, ma se nulla si vede non significa che nulla si stia facendo». Parole garbate per far notare che l’esposizione è stata severa. Un modo per chiarire, l’invito in largo Brazzà, nel palazzo sede del dicastero per lo sport e i giovani: un’intervista a tu per tu col ministro Andrea Abodi.
Ci sediamo a un grande tavolo rotondo, come rotonda – spiega – è la forma che vuole dare al senso del suo impegno. Dunque, le piace lavorare di squadra?
Cerco di mettere insieme persone e contenuti, creare sinergie, sfruttando la forza dello sport che implica necessariamente l’interazione con tanti ministeri: scuola, università, salute, agricoltura, disabilità, economia, pari opportunità, ambiente, lavoro, difesa, infrastrutture. Non c’è un collega che non abbia una motivazione, non solo di passione sportiva ma anche di interesse rispetto alla delega, a interfacciarsi con lo sport e con me. E viceversa.
Tra noi, sul tavolo rotondo, una grande scacchiera: le serve per esercitare le abilità strategiche o per evidenziare che una visione ha bisogno di tempo e molte mosse?
Problematiche di decenni non possono trovare soluzione in due anni. A volte mi sembra che il mondo sia nato insieme al mio mandato, il 22 ottobre del 2022. Da quella data abbiamo tutti scoperto cose che prima sembravano non esistere. Per esempio, quasi il 60% delle scuole italiane non ha una palestra. Lo sapevamo? No. Se ne parlava, così, ma nessuno si era posto il problema di conoscere il dato e come colmare questa lacuna. I 200 milioni che cinque mesi fa sono stati destinati con il Decreto Coesione dal ministro Valditara al potenziamento delle infrastrutture sportive nelle scuole, soprattutto nei territori svantaggiati, vanno in questa direzione. Non risolvono il problema, ma sono il segnale di un impegno che porteremo avanti durante tutto il mandato. Così come, insieme, affronteremo il problema dell'apertura obbligatoria delle palestre scolastiche, dopo l'orario di scuola, alle realtà sportive del territorio.
Lei è il ministro che per primo beneficia dell’emendamento dedicato allo sport con cui è stato modificato l’articolo 33 della Costituzione. Rileva cambiamenti?
È stato motivo di orgoglio aver fatto scoccare la scintilla che ha permesso al Parlamento di concludere l’iter lasciato in sospeso dalla legislatura precedente. Più che soddisfazione, più che determinare un beneficio, il settimo comma dell'articolo 33 della nostra Carta rappresenta una responsabilità, ci indica il percorso. Anche inaugurando un piccolo campo, recuperando risorse da destinare allo sport, pubblicando un bando, vincendo una medaglia, organizzando un evento, si può contribuire all’affermazione del valore sociale, educativo e di promozione del benessere psicofisico delle attività sportive.
E la scuola? E il 94,5% dei bambini italiani che secondo i dati OCSE sono sedentari?
Con il ministro Valditara c’è grande intesa. L’articolo 33 si consacra nella scuola: è lì che il principio costituzionale diventa diritto per tutti. Ma è vero solo in teoria. La realtà ci dice che solo 4 scuole su 10 hanno una palestra e una bacchetta magica non esiste. Affrontiamo la drammaticità della situazione con interventi "di supplenza" affidati a Sport e Salute affinché anche le scuole senza palestra possano offrire opportunità sportive attraverso un bando per l’allestimento di spazi non convenzionali. Il bando “scuola attiva kids e junior” è stato pensato per affiancare un laureato in scienze motorie all’insegnante di classe. Intanto cerchiamo di quantificare l’investimento che ci permetterà di avere insegnanti qualificati nelle prime tre classi delle elementari, dato che la copertura attuale coinvolge solo quarte e quinte. Stiamo anche valutando come favorire agli alunni e agli studenti delle scuole senza palestra gli impianti pubblici di prossimità. Prendiamo atto delle difficoltà ma non ci limitiamo ad assistere passivamente, come accaduto nei decenni scorsi. E come è accaduto per i Giochi della Gioventù.
In che senso?
Otto anni fa si erano spenti e non se ne era accorto nessuno. Il progetto è ripartito dalla collaborazione di sei colleghi, perché ritengo che siano un’ottima occasione di alfabetizzazione civica in senso lato, attraverso il quale la scuola può acquisire maggiori consapevolezze sui tema della disabilità e di accessibilità agli impianti, della corretta alimentazione, dell’ambiente, della salute. Proporremo di investire nella pratica sportiva una percentuale infinitesimale della spesa sanitaria o dei risparmi di questa voce. Consentiremo la pratica anche a chi ha meno disponibilità economica, attraverso la rete dei playground, impianti pubblici di libero accesso. In 3 mesi ne abbiamo finanziati 1.548 nei Comuni del sud con meno di 10.000 abitanti. In meno di un anno ne abbiamo realizzati 1050.
Tornando ai Giochi della Gioventù: a che punto è il progetto?
È passato più di un anno dall’approvazione del Senato, tra un paio di settimane è in calendario l’ultimo passaggio in aula alla Camera. Nonostante sia un ministro senza portafoglio, lo sport ha un finanziamento diretto che la riforma Giorgetti del 2018 stabilisce nel 32% della fiscalità generata dal sistema sportivo nell’anno precedente, con un minimo garantito di 410 milioni. Questo minimo garantito è passato da 45-50 milioni a 154. La copertura finanziaria dei nuovi Giochi sarà costante nel tempo, per sviluppare un progetto affascinante. Annunciare per me equivale a un impegno, non a una passerella. A Caivano, dall’annuncio alla realizzazione della riqualificazione dell'impianto e dell'area sono passati meno di nove mesi. Il centro sportivo che abbiamo dedicato a Pino Daniele ha 1.200 iscritti, viene gestito dalle Fiamme Oro insieme a Sport e salute.
Ha fatto riferimento alla fiscalità del sistema sportivo: com’è la situazione a un anno dall’entrata in vigore della riforma del lavoro sportivo?
La riforma ha portato tutele e trasparenza. Tuttavia, gli obblighi generati hanno trovato un ambiente impreparato, forse anche culturalmente. Abbiamo istituito un osservatorio per monitorare gli effetti e apportare correttivi per rendere sostenibili gli oneri. Per ora aiutiamo le piccole realtà con facilitazioni di carattere finanziario, sosteniamo il 50% degli oneri previdenziali per i compensi tra i 5 mila e i 15 mila euro. Alle società sotto i 100 mila euro di entrate, abbiamo dato piccoli contributi che cercheremo di confermare nel tempo.
Ministero, Dipartimento, Sport e Salute, CONI, Federazioni: tra tutti questi protagonisti non esiste un problema di governance?
Si, esiste ed entro pochi mesi faremo una proposta di modifica della legge Melandri, per un nuovo modello del sistema sportivo italiano.
Ancora due battute, anzi tre. Il Ministero sosterrà l’adempimento del safeguarding officer rispetto a ulteriori posticipi?
Assolutamente sì, lo dobbiamo soprattutto per rispetto a chi ha subito dal punto di vista fisico e mentale, perché chi commette errori così gravi sia individuato e sanzionato, ma anche come fattore di prevenzione. Col Dipartimento per lo sport verificheremo la puntuale attuazione e anche la possibilità di affidare la responsabilità a un soggetto terzo e indipendente.
Secondo lei esiste il gender gap nello sport italiano?
Si, soprattutto a livello di leadership.
Ministro, lei fa sport oppure è tra i sedentari che ci mettono in fondo alla classifica OCSE?
Vorrei praticarlo di più, ma non è facile.
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