Lo scandalo che ha travolto l'Antimafia siciliana, che ha scoperchiato una grande vergogna. La giudice Saguto, insieme ad avvocati, amministratori giudiziari, prefetti, consulenti, ufficiali della Guardia di Finanza, aveva messo su un'infernale macchina che divorava denaro e spolpava gli stessi beni sottratti ai boss
Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni. Potete seguirlo su questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Questa serie è dedicata alla vicenda di Silvana Saguto, la giudice del Tribunale di Palermo che gestiva i beni sequestrati alla mafia finita al centro di un’indagine partita nel 2015 dalla procura di Caltanissetta. Nella condanna di primo grado i magistrati hanno accertato scambi di favori e di soldi tra la Saguto, avvocati e amministratori giudiziari.
Amministrava il più grande patrimonio da Roma in giù, era chiamata “la zarina di Palermo”. Ricchezze di mafia che passavano dalle sue mani, che venivano gestite come un affare di famiglia. Finita al centro di un'indagine, prima è stata radiata dalla magistratura e poi condannata a otto anni e mezzo di reclusione. È la storia di Silvana Saguto, presidente della speciale sezione delle Misure di Prevenzione del Tribunale di Palermo, quella che sequestra e confisca i beni di Cosa Nostra.
Uno scandalo che ha travolto l’Antimafia siciliana, che ha scoperchiato una grande vergogna. Perché la giudice Saguto, insieme ad avvocati, amministratori giudiziari, prefetti, consulenti, ufficiali della Guardia di Finanza, aveva messo su un’infernale macchina che divorava denaro e spolpava gli stessi beni sottratti ai boss.
Si legge nelle 1314 pagine delle motivazioni della sentenza che l’ha condannata: «Ciò che è emerso dalla pletora di fatti delittuosi contestati è il totale mercimonio della gestione dei beni sequestrati e l’approfittamento, a vari livelli, del ruolo istituzionale ricoperto, che ha portato alla commissione di una serie eterogenea di reati, posti in essere mediante una così grave distorsione - per tempi, modalità e protrazione delle condotte - delle funzioni giudiziarie da avere arrecato, oltre che danni patrimoniali ingentissimi all'erario e alle amministrazioni giudiziarie, anche un discredito gravissimo all'amministrazione della giustizia..».
L’inchiesta su Silvana Saguto è partita nel 2015 da Caltanissetta (procuratore aggiunto Gabriele Paci, sostituti procuratori Maurizio Bonaccorso e Claudia Pasciuti) e il processo di primo grado si è chiuso un anno fa. Da qualche giorno è cominciato quello d’Appello.
Le indagini hanno accertato scambi di favori e di soldi. Soprattutto tra Silvana Saguto e l’avvocato Gaetano Cappellano Seminara, il “re” degli amministratori giudiziari. Il caso dei beni sequestrati alle mafie è stato sollevato per la prima volta dai servizi giornalistici di Pino Maniaci, il direttore di “Telejato” che ha condotto una vera e propria campagna contro il “metodo Saguto”.
Negli stessi mesi in cui denunciava le opacità della magistrata, il giornalista è stato accusato di tentata estorsione dai pubblici ministeri di Palermo, accusa dalla quale Maniaci è stato totalmente scagionato.
In questa serie del Blog Mafie ricostruiamo - attraverso ampi stralci degli atti del processo - quello che è stato definito «il lato oscuro dell'Antimafia».
Qui potete leggere tutti gli articoli della serie:
Silvana Saguto, i beni confiscati e il “pizzo” da pagare per sistemare i parenti© Riproduzione riservata